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Come leggere un racconto /19 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

La signora May fermò la macchina di fianco alla stalla e suonò il clacson, ma non comparve nessuno. (…) Aprì la porta, fece capolino e, per qualche secondo, le mancò il respiro.

La ricerca di questi Greenleaf continua, e si dimostra difficile. Loro e il maledetto toro che sta nella sua proprietà a rovinarle la mandria, sono sfuggenti. Non si trovano mai. Suona il clacson e mai nessuno che si faccia vedere. Allora getta un’occhiata alla stalla, e le manca il respiro. È una magnifica stalla. Per questo motivo lei:

Si ritrasse in fretta, chiuse la porta e vi si appoggiò contro, accigliata.

Ennesimo buon esempio di come è possibile comunicare, mostrare, senza tante elucubrazioni; lo stanzone è “bianco e immacolato”, e “pieno di sole”. Gli stabbi “scintillavano ferocemente”. Non è solo quello che leggiamo, ma quello che ci viene trasmesso, a essere importante.

Per prima cosa, il personaggio è da solo: un caso? Se in quella stalla avesse trovato chi cercava, la signora May avrebbe liquidato la faccenda parlando, risalendo in macchina e tanti saluti. L’esperienza che avrebbe vissuto entrando in quell’ambiente sarebbe stata meno forte. Lei si poggia sulla rabbia, e questa avrebbe in un certo senso spinto in secondo piano la visione di quello stanzone.

Qui invece è sola, la rabbia non può palesarsi, e ha tutto il tempo per osservare il trionfo dei figli del signor Greenleaf. Lei lavora duro, e una tale stalla non potrà mai permettersela. Ha fatto tanto, tutto, e da sola, perché ai figli non interessa un fico secco della fattoria e degli animali.

Certo, i figli del signor Greenleaf hanno combattuto al fronte in Europa, il Governo adesso li aiuta, e ne approfittano. Conducono la loro vita beata e ottengono dei risultati notevoli, mentre lei?

accigliata.

In questo semplice movimento dei sopraccigli c’è tutta la consapevolezza di essere vittima ancora e sempre di una grave ingiustizia. Perpetrata dal Governo certo, e dalla vita in generale. Gli scansafatiche trionfano, la brava gente che lavora deve ammazzarsi per riuscire a campare in maniera decente. E tutto questo è affidato a un movimento delle ciglia, e a una descrizione dell’ambiente che gli occhi della signora May sfiorano. Poche frasi.

 

Un negro, con una secchia gialla di pastone per i vitelli, spuntò da dietro il capanno delle macchine (…)
“Dove sono il signor O.T. e il signor E.T.?” domandò la signora May.

 

Alla fine qualcuno appare in questa fattoria. Non è chi lei cerca ma non fa nulla. L’operaio risponde che uno è in città e l’altro è in fondo al campo. Come reagisce la signora May? Ha già perso abbastanza tempo e non vuole perderne ancora.

 

“Riesci a ricordarti un messaggio?” (…)
“Se non me lo dimentico me lo ricordo,” rispose il ragazzo con un’ombra di malumore.

 

È evidente che i Greenleaf trovano sempre chi assomiglia a loro. Padre o figli non importa, sono tutti della stessa razza. Hanno un modo di parlare, di comportarsi, che la dice lunga su di essi. E chi lavora con loro è come loro. Ha una maniera di esprimersi che ricalca alla perfezione il marchio Greenleaf, come se appunto riuscissero a trasmetterlo a chi hanno attorno. Che diavolo vuol dire “Se non me lo dimentico me lo ricordo”? È una frase perfetta per far uscire dai gangheri chiunque. E il negro dimostra pure un’ombra di malumore.

 

“Be’ allora te lo scrivo.”(…)
“Sono la signora May,” (…) Puoi avvisarli che sono furente.”
“Quel toro se ne è andato di qui sabato e non l’abbiamo più visto. Non sapevamo dov’era andato a finire.”

 

Tipico dei Greenleaf e di quanti stanno con loro, giusto? Un toro sparisce dalla loro proprietà e se ne stanno lì, a combinare un bel niente. Non se ne curano né si preoccupano: come se fosse scomparso un sasso. E il Governo aiuta questa gente, offre loro denaro per la stalla e per un mucchio di altre cose (tutte considerazioni che non è necessario scrivere: però si vedono vero?). Nella furia della signora May non c’è soltanto un ottuso toro che gira nella sua proprietà. Bensì la certezza di far parte di un mondo che va alla rovescia: la brava gente deve avere a che fare con degli zotici menefreghisti. Premiati con aiuti governativi eccetera eccetera.

 

(…) se non vengono a prenderlo oggi, lo faccio ammazzare a fucilate dal loro padre, domattina, (…).
“Vi diranno di sparargli pure. Ha scassato uno dei nostri camion, e saremo contenti di non vederlo più.”

 

La risposta del negro è un magnifico caso di filosofia Greenleaf applicata alla perfezione. Lui ormai li conosce (lavora per loro!) quindi sa bene cosa diranno: di sparargli. Però questo ragazzo è ormai assimilato al loro modo di pensare e agire quindi:

 

“uno dei nostri camion, e saremo contenti di non vederlo più.”

 

È una specie di identificazione tra l’operaio e i suoi padroni, con il primo che si sente parte della “famiglia”, se così possiamo dire. Manca completamente il necessario distacco tra padrone e lavorante: tutti amici, tutti assieme. Ormai conosciamo bene la signora May, e anche se questa frase scivola via, in realtà possiamo quasi scommettere che lei ne è schifata. I ruoli sono saltati, nessun rispetto, tutti in un abbraccio che annulla ogni differenza.

Meglio badare ancora al dettaglio che c’è in questa frase: il toro ha scassato uno dei camion dei Greenleaf. Per il momento non dice nulla, ma più avanti risulterà prezioso. L’antipatia del toro per i camion si rivelerà in un certo senso fondamentale.

 

“Mi mangia la biada, mi rovina la mandria, e io dovrei anche macellarlo?”
“Credo di sì”, disse il ragazzo (…)
“Be’, non mi meraviglio. Certa gente è fatta così.”

 

La rabbia della signora May sale, ma è inutile. A quei tempi forse non esisteva ancora l’espressione “muro di gomma”, ma sia i Greenleaf che chi lavora per loro, quello sono. Si può parlare quanto si vuole ma niente li smuove. Sono di un’ottusità a prova di bomba (sarà vera ottusità?), ed è talmente enorme che ci si sente impotenti. Non resta che constatare l’amara verità, ancora una volta:

 

“Certa gente è fatta così.”

 

E in filigrana si scorge quello che pensa la signora May: “E certa altra gente non è fatta così. Per fortuna”.

Però attenzione a non scivolare nella facile idea che qui va in scena una sorta di lotta di classe. Forse, ma a Flannery O’Connor non interessava questo genere di argomento. Non che non sia importante, però non era quello che desiderava affrontare.

Magari usa questo espediente, ma ciò che propone è qualcosa di differente. Sì, l’America sta cambiando (siamo negli anni Cinquanta), ha vinto la guerra, domina il mondo. Tutto si rimescola, si modifica; vecchie tradizioni e idee, forme e formalismi sono rimessi in discussione. C’è anche questo nel racconto. Ma sarebbe una lettura troppo esile, che condurrebbe il lettore alla più cocente delusione.

Probabilmente Flannery O’Connor qui come altrove nella sua produzione, mostra come lo scheletro della vita civile statunitense non sia davvero capace di reggere al nuovo che dilaga, perché costruito di pessimi ingredienti. Sano egoismo, sani pregiudizi, sane formalità. Quello che sbriciola l’America è prendere i vizi e trasformarli in pregi. Flannery O’Connor mostra che il vizio è il vizio, e un pregio è un’altra cosa.

 

Come leggere un racconto /18 – Greenleaf di Flannery O’Connor.


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