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Come leggere un racconto /26 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

Fissò la violenta pennellata nera che caracollava alla sua volta, come se non avesse il senso della distanza, come se non sapesse decidere che intenzioni aveva e, prima che la sua espressione potesse cambiare, il toro le aveva affondato la testa in grembo, come un amante pazzo e tormentato.

 

Di solito evito di riportare un brano troppo lungo, però questa volta non sono riuscito a evitarlo. Mi piace. L’intero finale di questo racconto (tranquilli, c’è ancora un pezzo prima di arrivare alla fine, lo vedremo la settimana prossima) a parer mio è meraviglia allo stato puro.

Per esempio il verbo: “Fissò”. Si tratta di una conseguenza di quell’atteggiamento che la signora May ha quando vede il toro caricarla: è incredula. Quando ci appare qualcosa di assurdo, enorme non riusciamo a tornare in noi, siamo inchiodati. La signora May perde del tutto la capacità di decidere, di comprendere che cosa sta per accadere a lei.

Niente male quella “pennellata nera” riferita al toro. Sembra buttata lì, un’idea originale per identificare l’animale, e forse è anche così. Però consegna al lettore attento anche un altro concetto: quello di velocità, di rapidità.
La forza bruta dell’animale che carica una persona, sembra il pennello con il quale l’artista colpisce la superficie della tela.

 

Un corno arrivò ad aprirle il cuore, l’altro le cinse il fianco in una stretta indissolubile.

 

No, non c’è scampo. Nessuna via d’uscita. È proprio finita. La signora May è una donna forte, meglio, dura; però anche fragile. L’animale ha la meglio su di lei con facilità.

Tutto è immerso nel silenzio. Le ultime parole sono state della signora May che chiamava il fattore, perché venisse ad abbattere l’animale. Non ci sono suoni, rumori, voci o urla.

 

La signora May continuò a guardare davanti a sé, ma tutta la scena era cambiata: la linea degli alberi era una ferita buia in un mondo che era soltanto cielo, e lei si sentiva come chi avesse improvvisamente riacquistato la vista, ma non sapesse reggere alla luce.

 

Avete notato che molti grandi romanzi finiscono male? Anna Karenina; Moby Dick, per citare i primi che mi vengono in mente. La fine, anzi, la morte del protagonista è una brutta gatta da pelare. La ragione è che ci si deve accomiatare da una figura che ci ha fatto compagnia per ore o gironi interi. Come tutte le parti della storia, anche una morte deve essere efficace, e di valore.

Meglio: occorre tirare le fila e mostrare il senso della storia.

C’è l’incredulità della donna; la violenza di un animale. La scena però è semplice. Non solo avviene nel silenzio, un silenzio figlio di un’incredulità che forse non riguarda solo quello che accade in quel momento. Ma abbraccia tutta un’esistenza, pervasa dalla convinzione che tutto sia comprensibile, senza doppi fondi o livelli nascosti.

Che ci sia un legame tra il corno che apre il cuore della donna, e questa donna che improvvisamente riacquista la vista? O stiamo forzando la mano alla scrittrice, cercando significati dove non ci sono? Non è semplice rispondere, ma come si sa, la storia efficace è tale perché nonostante i limiti dell’autore, riesce a parlare, spesso per secoli. Dante non lo leggiamo perché è “antico”, ma perché la sua opera contiene pregi che superano i difetti del suo autore.

La signora May per la prima volta “vede” davvero. Non riesce a reggere la luce di quel cielo che si rivela negli ultimi momenti della sua esistenza. Da notare questo: la linea degli alberi. Il riferimento di tutta la sua vita di duro lavoro è sempre stato la fattoria e gli alberi ne sono il confine, ma adesso si rivela per quello che è: una ferita buia, mentre il mondo è cielo.

La diffidenza, il lavoro, sono stati così potenti da impedirle di vedere. Adesso che muore, vede. Inutile chiedersi se comprende, e cosa.

 

Come leggere un racconto /25 – Greenleaf di Flannery O’Connor 


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