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Come parlare di un libro senza averlo mai letto

Creato il 01 gennaio 2011 da Fabry2010

Come parlare di un libro senza averlo mai letto

Come parlare di un libro senza averlo mai letto

Pierre Bayard

Excelsior 1881, anno 2007

€ 16,50

Pierre Bayard, psicoanalista e insegnate di letteratura a Parigi, ci propone qualcosa di nuovo: l’idea che leggere un libro non sia fondamentale. In ognuno di noi alberga una biblioteca interiore e il libro, l’oggetto libro, ha ben poco da spartire con questa idea. Evitando di farci trarre in inganno dal titolo e assaporando gli esempi che Bayard ci propone, scopriremo come essere non-lettori non sia tanto un “farci mancare qualcosa” quanto, piuttosto, un aggiungere brio e personalità a quei titoli che abbiamo soltanto sfogliato, di cui abbiamo sentito parlare e che, letti o non letti, fanno parte di noi. Chissà, forse per raccontarvi questo libro avrei dovuto evitare di leggerlo…

Come parlare di un libro senza averlo mai letto
è godibile e semplice da leggere, o da non leggere. Oscar Wilde aveva un’idea piuttosto chiara in merito: Non leggo mai i libri che devo recensire; non vorrei rimanerne influenzato.

Confessare di non aver letto un libro porta spesso ad un senso di colpa. Bisogna però tenere presente che tra un libro che non si è mai letto – e di cui non si è mai sentito parlare – e uno che si è letto davvero, esistono molte sfumature. Spesso libri che non abbiamo letto, ma che hanno suscitato grande attenzione e risonanza, diventano un patrimonio che ci appartiene.

Parte Prima

Modi di non leggere

I

I libri che non si conoscono

Dove il lettore vedrà che non è importante leggere un libro piuttosto che un altro, cosa che rappresenta una perdita di tempo, ma che è importante avere sulla totalità dei libri ciò che un personaggio di Musil definisce una “visione d’insieme”.

Il modo più radicale di non-leggere è non aprire un libro, il bibliotecario di L’uomo senza qualità, non legge alcun libro e lo fa per amore: leggerne uno varrebbe non leggere gli altri. Le persone colte lo sanno – e soprattutto, per loro sfortuna, le persone non colte lo ignorano -, la cultura è soprattutto questione di orientamento, così ci spiega Bayard. Essere colti significa sapersi muovere tra i libri nel loro insieme, e non tanto nell’aver letto un tal libro piuttosto di un altro.

II

I libri che si sono sfogliati

Dove il lettore vedrà, con Valéry, che è sufficiente avere sfogliato un libro per dedicargli un intero articolo e che sarebbe persino sconveniente, per alcuni libri, procedere altrimenti.

Sfogliare un libro, senza averlo letto integralmente, non implica l’impossibilità di commentarlo. Forse, sostiene l’autore, proprio l’azione di sfogliarlo soltanto può tenerci lontani dal pericolo di perderci nei dettagli senza apprezzarne l’insieme.

III

I libri di cui si è sentito parlare

Dove Umberto Eco dimostra che non è assolutamente necessario avere avuto tra le mani un libro per parlarne dettagliatamente, a condizione di ascoltare e di leggere ciò che gli altri lettori ne dicono.

Quando un libro è esaurito, introvabile o – come ne Il nome della rosa – la sua lettura metterebbe in pericolo la vita di chi lo vorrebbe leggere, possiamo usare il “trucco” di Guglielmo da Baskerville. Il nostro Guglielmo non ha mai letto “quel” libro, eppure ne conosce esattamente il contenuto: ha prestato attenzione ai segnali che la vicenda e i suoi protagonisti gli hanno volontariamente e involontariamente fornito.

IV

I libri che si sono dimenticati

Dove si pone, con Montaigne, la questione di sapere se un libro che si è letto e poi completamente dimenticato, e che si è persino dimenticato di aver letto, è ancora un libro che si è letto.

Mentre leggiamo un libro, già iniziamo a dimenticarlo. Ciò che ricorderemo di quel libro, sono gli influssi che ha avuto su di noi. L’idea di lettura come perdita deve essere intesa come un guadagno perché ci discosta dal libro in quanto tale e lo rende parte della nostra esperienza.

Parte Seconda

Alcune situazioni di discorso

I

Nella vita mondana

Dove Grahan Greene racconta una situazione da incubo, il protagonista si trova davanti a una sala di ammiratori che aspettano con impazienza che parli a proposito di libri che non ha letto.

A volte ci capita di fingere d’aver letto un libro, spesso un classico, un titolo che ogni persona colta dovrebbe conoscere. Dire d’averlo fatto ci consente di ben impressionare gli astanti, ma ci mette anche nella scomoda posizione di dover fingere. Tenete presente, ci incoraggia Bayard, che la maniera migliore di parlare di un libro non-letto è dimostrarsi assolutamente sicuri di sé, indipendentemente dalle domande che ci vengono rivolte. Se non conoscete l’argomento, buttatevi a capofitto su di un altro registro e fatelo con convinzione: darete l’idea di gestire la conversazione in maniera autorevole, originale e magari un tantino beffarda.

II

Di fronte a un professore

Dove si conferma, con i Tiv, che non è assolutamente necessario aver aperto un libro per dare a suo riguardo, a rischio di sconcertare gli specialisti, un giudizio illuminato.

L’antropologa Laura Bohannan si ritrova a raccontare l’ Amleto ai Tiv, una popolazione dell’Africa Occidentale. Lei, che è americana, si sente dire da un collega inglese che gli americani non capiscono Shakespeare. Per dimostrare che la natura umana è uguale dappertutto, indipendentemente dalle differenze culturali, la studiosa porta con sé in Africa questo testo.

Laura Bohannan racconta la vicenda di Amleto ai Tiv, ma i problemi sono molti: la popolazione non crede ai fantasmi, e da lì in poi andrà sempre peggio!

Il fatto che i Tiv ricavino, dal sentirsi narrare Amleto, quanto fa parte della loro cultura collettiva e li porti a tralasciare quello che vi è di estraneo, li mette addirittura nella stessa posizione della corrente critica shakespeariana – seppur minoritaria – che dubita dell’apparizione del fantasma del padre di Amleto… e pensa che il protagonista fosse in preda alle allucinazioni!

III

Davanti allo scrittore

Dove Pierre Siniac dimostra che può essere importante stare attenti a cosa si dice di fronte a uno scrittore, soprattutto quando quest’ultimo non ha letto il libro di cui è autore.

Bayard ci fa notare che, in ambiti ristretti quale può essere quello dei critici letterari, la conoscenza dei propri simili porta a commentare un libro dicendone sempre un gran bene: spesso mentendo. Baylard ci porta quindi sul terreno scivoloso di uno scrittore che, parlando con i propri lettori – o non-lettori – spesso si sente estraneo a quanto gli viene detto dei suoi libri. E’ abbastanza comune che da un libro ogni lettore ricavi nozioni e sensazioni diverse, questo porta l’autore di quel libro a sentirsene estraneo. Si rivela quindi semplice un incontro tra un non-lettore e un autore di quei libri non letti: rimanete ambigui e parlatene bene. L’autore vuole solo sentirsi apprezzato, che l’abbiate letto o meno.

IV

Con chi si ama

Dove ci si rende conto, con Bill Murray e la sua marmotta, che l’ideale, quando vogliamo sedurre qualcuno parlando dei libri che ama senza averli letti, sarebbe fermare il tempo.

Dobbiamo ammettere che le nostre relazioni amorose dipendono in grande misura dai libri che abbiamo letto: i personaggi che abbiamo conosciuto attraverso la lettura influiscono in seguito sulla persona che scegliamo d’avere accanto. In egual misura i nostri ideali d’amore sono improntati ai romanzi che ci hanno fatto battere il cuore. Avere con l’altro, se non le stesse letture, almeno letture comuni, è fondamentale per una buona intesa amorosa.

Parte Terza

Comportamenti da adottare

I

Non avere vergogna

Dove si conferma, a proposito dei romanzi di David Lodge, che la prima condizione per parlare di un libro che non si è letto e non averne vergogna.

Tra i tanti che devono spesso commentare libri letti – o non-letti – gli insegnanti sono i più esposti al problema. Bayard sostiene che per parlare di libri letti o non-letti, bisognerebbe liberarsi dall’immagine opprimente di una cultura priva di imperfezioni.

Lo spazio sociale ambiguo – il contesto culturale lo è sempre – tende a venirci incontro: se la discussione sui libri avviene in uno spazio ludico – e la scuola non è tra questi -, chi ci sta di fronte sarà pronto a tollerare le nostre lacune come noi saremo pronti a tollerare quelle altrui.

II

Imporre le proprie idee

Dove Balzac dimostra che è facile imporre il proprio punto di vista su un libro, dato che non si tratta di un oggetto fisso e che se anche lo si avvolgesse con una cordicella macchiata d’inchiostro ciò non basterebbe ad arrestarne il movimento.

Il libro non resta insensibile a ciò che si dice di lui, ma, anzi, si modifica persino nel corso di una semplice conversazione. Di un libro si può dire tutto e il contrario di tutto, in base al rapporto che abbiamo con l’autore, o dalla posizione che esso ricopre nel sistema letterario.

III

Inventare i libri

Dove si segue, leggendo Sōseki, il consiglio di un gatto e di un esteta con gli occhiali dalla montatura d’oro, che suggeriscono entrambi, in ambiti diversi, che è necessario inventare.

Visto che il libro in sé e per sé non esiste, ma viene modificato dalla comunicazione, per parlare di libri non-letti bisogna prestare attenzione al metabolizzarsi di quel libro: state in allerta e potrete dire la vostra. Liberarsi dall’idea che chi abbiamo di fronte conosca realmente quel libro, è il primo passo per sentirci liberi di discuterne.

IV

Parlare di sé

Dove si conclude, con Oscar Wilde, che la durata ottimale della lettura di un libro è di sei minuti, per non rischiare di dimenticare che questo incontro è soprattutto un pretesto per scrivere prima di tutto la propria autobiografia.

Il non aver letto il libro di cui ci accingiamo a parlare, non deve essere visto in senso negativo – con angoscia o rimorsi – bensì come una concessione di spazio alla nostra creatività. Wilde sosteneva che chi legge troppo non ha tempo di ammirare, così come chi scrive troppo non ha tempo di riflettere. Il critico è quindi un artista, la cui cultura lo rende capace di percepire l’essenza di un libro senza doverlo leggere con attenzione. Parlare di se stessi, è questo l’obiettivo che Wilde assegna alla critica, senza farsi influenzare dall’opera presa in esame e con l’apertura mentale per sapervi scorgere ogni genere di legame e presupposto.

Un buon lettore fa una traversata di libri tenendo presente che ciascuno di essi ha qualcosa che lo riguarda, che ogni libro è stato variato dalla sua lettura e dall’averlo raccontato ad altri lettori – e non-lettori – e che questo è solo un punto di partenza. Parlare di libri è parlare di sé attraverso i libri, anche e soprattutto quando non li abbiamo letti. Questo sforzo creativo ci porta ad una profonda conoscenza di noi stessi perché parlare di libri non-letti è inventarne di nuovi.



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