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Come pietra paziente – recensione

Creato il 25 ottobre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
Come pietra paziente – recensione

La protagonista Golshifte Farahani (photo credit: Zoubin Navi / Wikipedia / CC BY-SA 2.0).

La nostra recensione di “Come pietra paziente“. Un Afghanistan di spari, turbanti e polvere spessa da seccare le labbra ed asciugare gli occhi umidi di pianto, è la cornice in cui si muove il meraviglioso profilo di una giovane donna. Una donna madre e sposa. Una donna madre, sposa e quasi vedova, ridotta a parlare e a prendersi cura del marito muto e paralizzato da una pallottola conficcata nel collo, mentre fuori, la città trema sotto le bombe. Una ragazza afghana a combattere costantemente con il terrore della morte, in attesa che qualche proiettile vagante metta fine una volta per tutte alle sofferenze del marito che sono, ora più che mai, le sue sofferenze. Un marito che in realtà non conosce ne’ ha mai conosciuto realmente, impegnato com’era in vita a fare l’eroe, l’uomo, il capo. Un affetto ingiustificato, per gli occhi dello spettatore, che nella bellezza arabeggiante della donna in questione (senza nome, semplicemente “donna”), vede esaltate tutte le brutture di un uomo che giocava a fare la guerra come fanno tutti coloro incapaci di fare l’amore. Eppure, tra una flebo e l’altra e dopo aver nascosto al sicuro dalla zia le sue due piccole bambine, la donna trova il modo di parlare come mai aveva fatto con il compagno vegetale. Come il mito della pietra paziente che da piccola le era stato raccontato, che vuole che ognuno affidi ad un grosso masso le sue più segrete emozioni, alleggerendosi l’anima e riempendo il sasso, che pazientemente assorbe fino al punto di rottura, in cui frammentandosi in migliaia di pezzi, purifica in qualche modo il proprio confessore.
Svuotandosi dalle sue paure, la donna rifiorisce, quasi incredula dell’opportunità di poter così liberamente parlare in un mondo così poco disposto ad ascoltarla. E si comprende il dramma delle sue lacrime trattenute ogni volta che, da vivo, l’uomo goffamente le si scagliava addosso per rubarle quei pochi istanti di fisicità con i quali la accusava ingiustamente di essere una donna marcia, non fertile e non adatta ad accogliere in grembo un bambino. Una ragazza oggetto, mezzo per procreare figli maschi, senza alcuna necessità di carezze, baci o rapporti amorosi che andassero oltre il mero scopo della riproduzione. Così, da semplice ed innocua confessione di paure, la donna si lascia andare totalmente facendo scivolare fuori tutto il male accumulato in quei pochi anni di matrimonio infelice, dove pur di non rischiare di essere abbandonata, affida ad altri uomini il proprio ventre sano di madre, per donare al marito due figlie che lui stesso non era capace di darle. Giorno dopo giorno sorride sollevata e leggera la donna, che nel frattempo si affeziona ad un giovane soldato al quale insegna a fare l’amore e a volerle bene, mentre la propria pietra-marito e’ sul punto di esplodere in mille pezzi, gravido dei segreti che la donna gli ha affidato. E nella meravigliosa scena finale, in cui l’uomo, risvegliandosi, tenta di strangolare la moglie fedifraga, un sussulto di energia fa ribellare definitivamente la donna che riesce a pugnalarlo, tra lacrime di spavento e sospiri sollevati in una catarsi assolutamente meritata.
Come pietra paziente è un film che stupisce per la propria delicatezza nel trattare temi di amore e tradimenti in un modo che noi occidentali non conosciamo più da tempo, bombardati da pornografia di ogni genere in ogni istante della nostra vita, incapaci forse di emozionarci ed eccitarci per un amore rubato in pochi istanti e “per interposto lino”, dove le nudità sono solo immaginate. Un film di un uomo (Atiq Rahimi, anche autore del libro da cui il film e’ tratto) ma per le donne, per i macigni che in ogni parte del mondo sono condannate troppo spesso a portarsi appresso. Un film, infine, per le donne afghane che, nel volto dell’incantevole Golshifteh Farahani, vedono la propria rivincita nei confronti dei loro uomini padroni.


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