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Agli inizi del 2012 venticinque nazioni appartenenti all’Unione europea hanno sottoscritto il cosiddetto patto di bilancio (per gli anglofoni, fiscal compact). Inglesi e cechi hanno preferito astenersene.La pietanza forte del nuovo trattato è rappresentata dall’obbligo, per gli stati, di perseguire il pareggio di bilancio, regola recepita con norme di rango costituzionale nelle varie legislazioni nazionali. Il parlamento italiano vi ha provveduto nel luglio 2012.Il vincolo del pareggio di bilancio ha ricevuto molte critiche, la più seria delle quali sottolinea l’impossibilità, qualora la congiuntura economica lo imponga, di attuare politiche economiche anticicliche tramite la spesa in deficit. Un ulteriore elemento suscita poi non poche perplessità. Mi riferisco al fatto che i politicanti possano sentirsi indotti a raggiungere il pareggio non riducendo privilegi, sprechi e spese improduttive, ma aumentando semplicemente le tasse. Il che equivale a gettare benzina sul fuoco.Poiché nulla ci garantisce che i politicanti di colpo rinsaviscano e la smettano di aprire senza criterio i rubinetti della spesa pubblica, l’unica speranza che abbiamo di fargli diminuire gli sprechi e le inefficienze consiste nello stabilire un limite costituzionale alla pressione fiscale. Insomma, dobbiamo togliere un po’ d’acqua ai pesci. O, per essere più precisi, togliere acqua agli squali.Se nella costituzione venisse introdotta una norma che fissi al quaranta per cento del reddito nazionale l’ammontare massimo delle imposte esigibili, si ridarebbe fiato all’economia per effetto del ridotto onere fiscale, abbattendo in misura considerevole la disoccupazione, e s’imporrebbe una concreta disciplina agli spreconi al governo.I soldi facili, in mano ai politicanti, diventano letame. Più gliene diamo, peggio è per noi. Il brutto andazzo va quindi corretto e la soluzione è una sola: dobbiamo dargliene, per legge, di meno.
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