Non importa chi arrivi governo in Italia, qualunque sia la sua ideologia di riferimento o l’appartenenza identitaria e partitica, almeno da 20 anni in qua, sappiamo che la politica estera nazionale sarà derubricata da questi ad argomento secondario. Non si deve intralciare il grande manovratore estero che decide sulla testa del Paese. E se qualcuno ci prova, per bene che gli vada, rischia le statuette in faccia. La politica estera italiana si riduce a tante dichiarazioni e photo opportunity, come si dice in gergo, e pochi fatti. Quei pochi fatti, peraltro, fanno arretrare il Paese, danneggiano le relazioni costruite faticosamente in tempi migliori e portano la nostra comunità ai margini del gioco diplomatico che vale. Da quando poi al centro del dibattito parlamentare ci sono soprattutto le questioni di bilancio e i calcoli cervellotici dei tecnici, salvatori della patria e violentatori della strategia politica internazionale, in una fase storica in cui è questa che dovrebbe determinare il resto, e non viceversa, la retrocessione dell’Italia a provincia semicoloniale sullo scacchiere globale è stata più rapida ed inevitabile.
Gli imbecilli politici con alto quoziente intellettivo specialistico, celebrati dai media, ci hanno dato il colpo di grazia. I giovanotti che recentemente li hanno seguiti, accompagnati dalle fanfare dei giornali, ne hanno ripercorso le “epiche” gesta differenziandosi per minore sobrietà ma uguale nullità di risultati. L’Italietta che non sa stare al mondo ed aspetta e spera il deus ex machina calato dalla messinscena elettorale è tutta qui. Un’altra corsa ed un altro giro di ruota per avvitarsi su se stessa.
Eppure, in un’epoca di passaggio al multipolarismo geopolitico, come quella che stiamo attraversando, con nuove potenze e vecchie conoscenze che si affacciano sullo scacchiere planetario, accompagnate da idee prorompenti e vaste riorganizzazioni (militari, sociali, politiche ed anche culturali), rivolte alla riconfigurazione dei rapporti di forza tra formazioni nazionali e aree geografiche, la politica estera, come affermano fior di pensatori, dovrebbe diventare la politica tout court. Vallo a spiegare a Roma dove sono tutti impegnati a riformare l’aria fritta del Palazzo.
Tuttavia, per quanto uno possa essere miope o persino cieco è impossibile non vedere e non sentire le conseguenze degli squilibri incessanti che scaturiscono dai cedimenti strutturali del centro regolatore occidentale, ormai incapace di reggere alle mutate circostanze. La fortificazione di antagonisti ed oppositori dell’ordine pregresso impedisce le restaurazioni. Non le guerre, evidentemente, con le quali si prova a rallentare il decorso degli smottamenti egemonici predominanti. La scena non sarà più la stessa a prescindere dai desideri o dalle illusioni degli attori. Tali scompensi condurranno sicuramente ad una metamorfosi delle nostre società e delle reciproche interdipendenze che varieranno di segno e di sostanza. Ormai, le principali potenze si stanno attrezzando a ciò mentre noi italiani ci illudiamo di essere fuori da questa palingenesi, pensiamo di poter risolvere ogni guaio con la fideistica connessione ai nuclei globali di un’era irrimediabilmente finita, proprio mentre questi organismi ci sacrificano (insieme agli altri elementi deboli) ai loro tramutati obiettivi. Ci fregiamo dell’amicizia di Presidenti e coadiutori di alto rango che ci trattano alla buona e ci tengono di conto esclusivamente per loro convenienza e crediamo scioccamente di avere le spalle coperte. Le loro pacche sulle schiena cominciano però ad assomigliare fin troppo a sonori sganassoni che noi incassiamo con i larghi sorrisi degli idioti. Peccato che siano soprattutto gli italiani a pagare lo scotto di tanta sciatteria (o vero e proprio servilismo) dirigenziale che nuoce alla sovranità nazionale. L’Italia deve cambiare rotta se vuole sopravvivere alle prossime tempeste politiche e deve guardarsi intorno per autonomizzare le sue alleanze e le sue istanze. Ne ha bisogno per sfuggire al gregariato in cui la Nato e l’Ue l’hanno confinata. Gli spazi per queste scelte si stanno aprendo ma noi non facciamo altro che chiudere la porta in faccia all’avvenire. Noi o chi per noi, come si suol dire. Non possiamo sperare di cavarcela così, senza una interpretazione degli orizzonti schiusi e l’elaborazione di una visione dei processi storici, entrambe necessarie a trovare una ricollocazione logistica e materiale vantaggiosa. La crisi che stiamo passando (anche quella economica) dipende innanzitutto da detta condizione di minorità geopolitica. Ci vuole coraggio è vero, ma non c’è altra strada per sopravvivere decentemente all’età che si affaccia. I partner adeguati non mancano (la Russia in primis, ma ne scorgeremo presto ulteriori), difettiamo di avanguardie e di leader con i quali far avanzare queste proposte. Il nostro compito dovrà essere proprio quello di edificare questi reparti avanzati, in quanto punta di diamante di blocchi sociali rinnovati, e far crescere il consenso intorno a loro e ai loro programmi. Da questi fattori si parte per innescare possibili metamorfosi sovraniste e di reale liberazione nazionale.
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