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Approvo la fermezza con cui il Presidente americano Barack Obama ha stigmatizzato le nefandezze perpetrate dall’ISIS, definendo questo gruppo di terroristi “un cancro da estirpare” e aggiungendo che non c’è posto per loro nel XXI secolo. Le sue parole mi hanno ricordato un monito di Oriana Fallaci. Lei aveva intuito il grave pericolo delle derive islamiche e presagito barbarici scenari futuri. Fra l’altro, rimarcò che “il fondamentalismo è una grave malattia dell’Islam come lo è stata la santa inquisizione per il Cristianesimo”. Almeno su questo, il pensiero dell’attuale Presidente americano e della Cassandra la cui voce è stata soffocata e derisa, collimano. L’Islam soffre di un male apparentemente incurabile, un cancro i cui effetti, purtroppo, mietono vittime innocenti non solo fra i seguaci di Allah moderati ma soprattutto fra gli infedeli, cioè la civiltà occidentale di matrice giudaico-cristiana. La cronaca ha reso tristemente popolare l’ISIS, per quanto molti ignorino ancora cosa sia. L’acronimo ISIS indica lo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, una realtà nazionale non riconosciuta oltre che un gruppo jihadista attivo in Iraq e in Siria di cui si stanno occupando le cronache. Nel mese di giugno di quest’anno, l’ISIS ha proclamato la nascita di un califfato retto dal comandante Abu Bakr al-Baghdadi e ha mostrato al mondo l’ennesimo lato oscuro dell’Islam che propugna la jihad globale, ovvero la “guerra santa”, al fine di sottomettere gli infedeli e punire gli apostati. In poco tempo, questo nuovo gruppo emergente di fondamentalisti-terroristi ha commesso tanti di quei crimini contro l’umanità da superare in crudeltà ed efficacia la stessa Al-Qaeda e il non rimpianto Osama bin Laden. I membri sanguinari dell’ISIS, organizzatisi come un esercito efficiente, hanno assunto il controllo di gran parte dell’Iraq, tant’è che a Baghdad regna il caos, e del territorio orientale della Siria. La loro specialità non è farsi esplodere per danneggiare e mietere vittime fra i civili, come fanno i terroristi plagiati da un indottrinamento capzioso, ma operare su scala maggiore, perpetrando il genocidio dei cristiani e dei dissenzienti. Fanno orrore le notizie e le immagini che giungono dalle aree in cui operano impuniti. E se il dramma della minoranza Yazidi, e quindi lo sterminio dei curdi, ci inquieta fino a un certo punto perché pensiamo erroneamente che la cosa non ci riguardi, è ovvio che la decapitazione del reporter americano James Foley ci ha letteralmente agghiacciato. Come ci agghiacciano gli sgozzamenti dei bambini di fede cristiana e le crocifissioni di chi non vuole convertirsi all’Islam. Siamo in presenza di gente senza Dio, per quanto invochino Allah, e di un’offensiva portata senza pietà e con un fine preciso: la sopraffazione. In una parola, abbiamo un grosso problema da risolvere: il cancro islamico. Era inevitabile che l’odio e l’intolleranza religiosa dei musulmani che non accettano il dialogo con l’Occidente e vogliono imporci con la violenza i loro modelli di vita facesse un salto di qualità. In effetti, l’ISIS costituisce una minaccia più seria delle precedenti. Come ogni tumore che nasce e si diffonde in un corpo già debilitato, rischia di trasformarsi in metastasi. Il rischio è grande e sapete perché? Questa volta, a sfidare l’Occidente non sono dei poveri beduini istruiti nei campi di addestramento, ai quali una morte eroica garantisce un soggiorno illimitato nel giardino dell’Eden, in compagnia di quaranta vergini. Questa volta, l’Islam jihadista si avvale di gente istruita, esperta di tecnologie e comunicazione, in grado di rendere più sofisticate le proprie tattiche e la propaganda. Inoltre - è questa la vera novità - può contare su migliaia di guerriglieri fondamentalisti che non sono stati arruolati nei campi profughi e nelle scuole dei paesi arabi ma hanno studiato e risiedono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Le cellule cancerogene dell’ISIS vivono in mezzo a noi, hanno una laurea e un lavoro, conoscono i nostri punti deboli, sono in buona parte occidentali convertiti all’Islam. Probabilmente, il boia che ha trucidato Foley è inglese. Questi vigliacchi stanno per scatenare un nuovo attacco, dall’interno. Che fare? Come impedire l’islamizzazione forzata di un Occidente che la democrazia rende fragile? Personalmente, non ho dubbi. Se vogliamo impedire di soccombere dobbiamo reagire come fecero a suo tempo i greci quando furono minacciati dai persiani e i sovrani europei di fronte alla minaccia turca. Bisogna unire le forze e, soprattutto in ambito europeo, accettare l’idea che siamo in guerra e dobbiamo adeguarci. Sì, dobbiamo svegliarci e reagire. Il fine deve giustificare i mezzi e al diavolo la democrazia se inibisce le potenzialità difensive! Non si può continuare a subire e basta, a definire inevitabile l’invasione dei musulmani, ad accettare compromessi e soluzioni indegne della storia e delle tradizioni in nome dell’accoglienza, della solidarietà e di altri principi disgregatori della società civile. Tutto ciò costituisce l’anticamera di una resa all’insegna dell’ignominia. Di fronte alla minaccia dell’ISIS, di cui sentiremo parlare tragicamente nei prossimi mesi, dobbiamo mostrare la stessa fermezza promessa da Obama. Noi italiani siamo in prima linea. Abbiamo deciso di inviare armi ai curdi e il Papa si è schierato con i cristiani trucidati in Siria e in Iraq. Tanto basta perché il nostro Paese possa diventare uno scenario futuro delle barbarie islamiche. Occorre prevenire il disastro. Se solo avessimo dei governanti intelligenti e lungimiranti, se solo ponessimo fine alla piaga del “politically correct”, potremmo dichiarare lo stato d’emergenza e promulgare leggi speciali per arginare il fenomeno dell’islamizzazione e i pericoli in pectore. Sarebbe più facile provarci se la Comunità Europea decidesse di approvare una linea comune. E invece che cosa fa? Scarica sull’Italia i rischi e le responsabilità di un’immigrazione ormai senza controllo. Quanti, fra quelli che sbarcano sulle nostre coste, presto saranno manovalanza dell’esercito invisibile che l’ISIS sta formando? Sia chiaro, non propugno una “contro guerra santa” né auspico un clima di tensione e intolleranza generica verso i musulmani. Invoco, considerandole necessarie, una politica comunitaria e contromisure severe e tali da trafiggere il cuore di tenebre dell’Islam. C’è un solo modo per combattere il cancro e cercare di estirparlo. Occorrono terapie d’urto. È ciò di cui abbiamo bisogno per evitare che in un futuro non troppo lontano, sgozzamenti e crocifissioni avvengano anche da noi. L’aspetto più triste della faccenda è che in questa estate il cui clima riflette il nostro stato d’animo, siamo quasi indifferenti alla diffusione del cancro islamico. Resteremo indifferenti anche quando il genocidio dei cristiani avrà inizio nelle nostre città?
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