In realtà il titolo di questo post è una trappola; l’ho concepito col preciso intento di attirare Google, e quindi utenti, e poter condividere con il maggior numero possibile di persone la mia idea.
Non c’è il modo giusto per scrivere un buon incipit. Non stiamo parlando di formule magiche, o matematiche, o di copia&incolla: fai così e cosà e vedrai.
Questo incipit per esempio:
Londra.
a me piace molto. Arriva da “Casa desolata” di Charles Dickens. Pare l’inizio di un articolo di un quotidiano, redatto dal nostro simpatico corrispondente nella capitale inglese, che ci informa delle ultime novità. E per prima cosa ci tiene a far sapere da dove scrive.
Ho evitato apposta quello, ben più celebre e citato, di Herman Melville, che apre il “Moby Dick”.
Vogliamo parlare di quello di “Suttree” di Cormac McCarthy?
Caro amico adesso nelle polverose ore senza tempo della città quando le strade si stendono scure e fumanti nella scia delle autoinnaffiatrici e adesso che l’ubriaco e il senzatetto si sono arenati al riparo di muri nei vicoli o nei terreni incolti e i gatti avanzano scarni e ingobbiti in questi lugubri dintorni, adesso in questi corridoi selciati o acciottolati neri di fuliggine dove l’ombra dei fili della luce disegna arpe gotiche sule porte degli scantinati non camminerà anima viva all’infuori di te.
È scritto proprio così. Forse ci vorrebbe qualche virgola, un punto e virgola? Un bel punto? Possibile che non abbia un bravo editor che gli insegni a scrivere, a usare qualche segno di interpunzione?
Sono certo che ce l’abbia. Magari hanno anche litigato perché l’editor dopo aver letto l’incipit avrà preso carta e penna (il libro è del 1979, niente Web quindi), e gli avrà scritto: “Guarda che così non va. Qualunque editore dopo averlo letto, si suiciderà. Persino quelli del Texas. E io non mi sento affatto bene, a proposito”.
Il post sta assumendo delle dimensioni eccessive; un’altra regola della Rete. Parcellizza i tuoi contenuti, se vuoi avere un mucchio di riconoscenti lettori. Suddividili in tanti, bei post.
Leggere sullo schermo di un computer è faticoso, e bla bla bla.
Credo di aver capito qualche cosa, in tutti questi anni. La prima: se qualcosa funziona in un certo ambito, replicarla in un altro è follia pura. Se certe strategie conducono alla gloria, le stesse applicate altrove, fanno cilecca. Parliamo di libri? D’accordo: ma di beni, oppure di prodotti?
A te la scelta.
So bene che sugli scaffali dei supermercati trovi Pirandello, Ken Follett, Stephen King e Gabriel Garcia Marquez. Poco oltre, detersivi, bresaola in busta, pannolini.
Ma per te un libro è un prodotto o un bene?
Nel primo caso, passerai anni a inseguire fumo; leggerai libri e manuali che ti spiegheranno come costruire un incipit in grado di convincere alla prima occhiata qualunque editore. Servono a qualcosa? A chi li scrive, e pubblica, senza dubbio.
Chi legge questo blog potrebbe sottolineare le mie contraddizioni: in un post precedente, avevo parlato dell’utilità delle scuole di scrittura. Al contrario, proprio perché credo nella loro utilità non amo quella che con un francesismo si chiama “fuffa”.
Qui mi devo però fermare, e tornarci con calma un’altra volta. Però una cosa ambiziosa la voglio scrivere per concludere. Se vuoi scrivere un buon incipit, cercalo nel tuo occhio.
Nel tuo occhio.