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Come si introduce il parlato dei personaggi

Da Marcofre

Come si introduce il parlato dei personaggi?
Alcuni, e immagino che non siano pochi, credono con determinazione che ricorrere solo al “Disse”, sia una scelta sbagliata. Che si tratti di una strategia che ama la mediocrità, la sciattezza.
Se non ricordo troppo male, era Nabokov che rivelava come Lev Tolstoj, in Anna Karenina, utilizzasse sempre “Disse”.
Poi, intervengono i traduttori a cambiare tutto; perché la traduzione è anche editing, ebbene sì.

Quindi Tolstoj era sciatto?
È ovvio che le regole in generale, e quelle rigide in particolare, lasciano il tempo che trovano. Quindi non si può affermare che utilizzare sempre e comunque “Disse” sia meglio che ricorrere a “Borbottò”. Forse ci vuole ogni tanto un borbottio, non saprei. Però la bella semplicità del “Disse” rischia di essere sottovalutata, per delle soluzioni che vogliono dimostrare al lettore che chi scrive, sa il fatto suo.

Peccato che al lettore serio non interessi l’autore, bensì la storia. Dopo, potrà essere incuriosito dal bizzarro tipo che ha elaborato quell’intreccio così particolare. E la sua curiosità sarà tanto più alta, quanto maggiore sarà stata la cura per la parola.
Qui ci sarebbe parecchio da dire sugli eccessi che ne possono derivare, quando il lettore smania e vuole sapere di tutto e di più a proposito dello scrittore.

Non di rado il lettore tende a eccedere, quando dovrebbe restare dentro i limiti. In fondo, l’autore è in quello che scrive e basta, e quando si alza dalla scrivania ed esce dalla stanza, tende sbagliare quasi tutto. Direi che è scientificamente provato: tutti vogliono la sua opinione su qualunque campo dello scibile umano, e lui, ingenuo ed egocentrico com’è, accetta.

Ma sto divagando.

La priorità a parer mio deve andare a quel “banale” Disse che tuttavia trasporta il lettore nel difficile territorio del dialogo. È lì che si gioca una buona fetta della partita. Una buona palestra, a parer mio, lo sono certe serie televisive statunitensi. Per esempio “Law & Order”. I dialoghi, soprattutto quando si deve stare dentro un tempo massimo di 30 minuti, devono essere efficaci. Non c’è spazio per le divagazioni.

Lo stesso accade quando si affronta la lettura di Georges Simenon e del suo commissario Maigret. A dire il vero, nei gialli di questo autore belga non solo i dialoghi, ma ogni aspetto è studiato per offrire una storia sobria. Efficace.

Ci sono un mucchio di motori in una storia. Il dialogo è uno di questi. “Disse” o “Borbottò” diventa secondario, quando ci si rende conto che la storia ha bisogno di quella linfa che solo il dialogo è capace di fornire. Sì, ci sono storie prive di dialoghi, e funzionano. Però è piacevole vedere i personaggi che si siedono e ne parlano. È dannatamente umano. È una buona cosa sentirli parlare, gettare via la maschera e mostrarsi come sono, oppure tenerla con tenacia per nascondersi ancora un poco.

Io preferisco “Disse”.


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