La galleria del vento progettata nei laboratori del SETI Institute ha permesso a Devon Burr e colleghi di spiegare il processo di formazione delle dune fotografate da Cassini su Titano.
Titano è il più grande satellite di Saturno e il secondo nell’intero Sistema Solare, più piccolo solo di Ganimede, luna di Giove. La sua superficie estremamente variegata, coperta di laghi, oceani, isole, con un terreno di montagne e sorprendenti criovulcani, affascina da tempo scienziati e astronomi. La sonda Cassini è il nostro osservatorio privilegiato su questa luna lontana, ed è proprio l’orbiter NASA/ESA/ASI ad aver fotografato un ammasso di dune scolpite da forti raffiche di vento sulla superficie di Titano: centinaia di metri di altezza per centinaia di chilometri di lunghezza, situate nelle latitudini più basse della luna.
Sappiamo che dune sono presenti anche su altri mondi: Venere, Marte. Titano è un altro paio di maniche però, e la domanda sorge spontanea: di cosa sono fatte queste dune giganti e perché si sono formate in netta opposizione alle correnti di vento dominanti che spazzano Titano da est a ovest?
«Non si tratta di composti di silicato, come capita per le dune su Terra e Marte», chiarisce Devon Burr, ricercatore della University of Tennessee di Knoxville, ex SETI Institute, primo autore della ricerca appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature. «Le dune sono costituite da idrocarburi, potrebbero contenere tracce di acqua allo stato solido».
E se l’origine di questa sabbia extraterrestre resta oggetto di mistero, uno sconcerto anche maggiore è provocato dal vento che deve aver scolpito queste dune titaniche. La loro conformazione richiede forti raffiche e in direzione contraria ai venti che normalmente sono stati registrati sulla luna di Saturno. Per comprendere la formazione di queste strutture Burr e compagni si sono serviti di una galleria del vento progettata negli anni Ottanta per studiare i modelli climatici di Venere. La ristrutturazione di quel vecchio macchinario con aggiustamenti ad hoc ha permesso agli scienziati del SETI Institute di ottenere un buon simulatore di aerodinamica, formato Titano.
«Burr è stato piuttosto rude nel lavoro sul macchinario, ma il risultato è ottimo. Abbiamo addomesticato la bestia», chiosa ironicamente John Marshall, co-autore dello studio. «Ora NASA ha uno strumento di simulazione planetaria in più, perfettamente funzionante».
Il modello ha permesso di scoprire che i venti occasionalmente invertono la loro direzione aumentando esponenzialmente d’intensità, in relazione alla posizione del Sole nel cielo di Titano. Solo un vento di questa portata può giustificare la formazione di dune così importanti.
«Il nostro studio dimostra come il vento registrato sulla superficie di Titano nel 95% dei casi non ha alcuna influenza sulla disposizione delle dune fotografate da Cassini. Sono eventi rari quelli che hanno plasmato le sabbie di idrocarburi sulla luna di Saturno. Tempeste perfette», spiega Burr. Una scoperta che potrebbe rivelarsi chiave per spiegare anche altri fenomeni registrati su altri corpi del Sistema Solare (Marte, Plutone, le comete) e che può aiutarci a comprendere meglio esopianeti che crediamo possano essere simili alla Terra.
Senza parlare del fatto che «è fondamentale comprendere questi processi anche sul nostro pianeta, dove a latitudini uguali e differenti longitudini troviamo ambienti profondamente diversi come il deserto del Sahara in Africa e il bacino dell’Amazzonia in America del Sud», conclude Burr. Potrebbe essere andata non molto diversamente anche nel passato profondo della Terra, durante l’era glaciale. Meteo e clima planetari sono sempre più determinanti.
L’articolo su Nature: http://www.nature.com/news/titan-s-giant-dunes-track-ancient-climate-1.16501
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga