Antoine ha uno scopo nella vita: smettere di soffrire a causa della sua intelligenza. Per realizzare il suo sogno proverà a diventare un alcolizzato – ma fallirà, finendo in coma etilico al primo tentativo; quindi opterà per il suicidio – scoprendo però che non voler vivere non significa necessariamente voler morire.
Alla fine, a corto di soluzioni, affronterà il problema alla radice: si prodigherà per diventare stupido, riconoscendo all’intelligenza la causa di tutti i mali esistenziali umani.
Come sono diventato stupido si presenta come un libro arguto, uno di quelli che sanno far riflettere intrattenendo. È un libro d’idee camuffato da (tragi)commedia, in cui le riflessioni (molte) del narratore vengono servite in piatti gradevoli all’occhio e al palato. Nessuna noia, insomma, mentre conosciamo i personaggi che lo compongono.
Antoine, prima di tutti, la cui stessa storia ci fa scoprire la capacità di Martin Page di guardare le cose da un punto di vista alternativo (e con tanta, tanta ironia). Shan, sua illustre antenata, otto secoli prima ha “scoperto l’Europa”. Lei e il suo equipaggio “[a]ttraversando il Mediterraneo sbarcarono nel Sud della Francia e raggiunsero Parigi. Offrirono specchietti e abiti di cattiva seta agli indigeni nelle contrade europee e concludero accordi commerciali con i capi di queste tribù pallide”.
Tutto è una questione di punti di vista, ed è questa consapevolezza a impedire ad Antoine di avere certezze assolute, di credere in qualcosa, e quindi di godersi la vita.
Così Antoine, dopo aver escluso alcolismo e suicidio, si dedica con impegno al suo progetto: rinunciare a quell’intelligenza che, checché gli altri ne dicano, gli pesa addosso come un handicap.
Purtroppo, il romanzo si deteriora capitolo dopo capitolo. La sagace ironia, l’oculata caratterizzazione dei personaggi e l’uso sapiente di allegorie con cui Page ci accoglie nel suo libro vanno stemperandosi pagina dopo pagina, lasciandoci tra le mani un albero sempre più rigido, sterile e fragile. La sensazione è che Page abbia consumato tutta l’ispirazione all’inizio, trovandosi poi a dover scimmiottare se stesso.
Come sono diventato stupido ha un altro, ben più profondo, problema: Page confonde l’intelligenza con l’incapacità di smettere di pensare. Indubbiamente un uso costante del cervello aumenterà la propria intelligenza (o, perlomeno, un tipo d’intelligenza, quella a cui Page si riferisce: quella logico-deduttiva), ma le due cose rimangono analiticamente diverse.
Questa distinzione è importante, perché, se “stupidità” è l’opposto di “intelligenza”, non lo è di “tartassante e continuo pensare”. E, di fatto, Antoine – nella sua missione di diventare stupido – non smette di pensare, ma semplicemente cambia i propri parametri. Se prima rifletteva su arte, cinema e sugli effetti del consumismo sul mondo, ora s’impegna per capire quali vestiti comprare e quale modello di auto possedere.
Opinabile è anche la sua encomiabile capacità di ragionare, in quanto Page fa un’altra sovrapposizione: confonde l’intelligenza con il rispetto della morale.
Veniamo ad esempio a sapere che il vecchio Antoine era un individuo che evitava di comprare certe marche di prodotti perché consapevole di quanti sfruttamenti umani fossero necessari per la loro produzione. Non ci è dato sapere perché Antoine avesse tale priorità, né perché tale comportamento dovrebbe farcelo catalogare come “intelligente”. Al contrario, questo suo modo d’agire lo caratterizza, nel libro, come una persona intelligente, rivelando un assunto di Page: che chi agisce correttamente, in rispetto delle attuali norme morali, è intelligente.
Tale assunto non è, nella forma (da un punto di vista logico-deduttivo), meno tautologico, meno ragionato, quindi meno “stupido” di quelli che Antoine cataloga come tali: comprare un certo tipo di auto per ricevere un certo tipo di rispetto, fare un certo tipo di lavoro per ottenere un certo stipendio – o, nel caso di Antoine, evitare di comprare un certo tipo di prodotto per sentirsi con la coscienza a posto.
Cos’è uno stupido?
Per Antoine, è un individuo che, anziché ragionare, crede ciecamente in qualcosa. L’unica differenza tra il vecchio Antoine e i consumisti che critica, quindi, è che lui crede in valori più utili al resto dell’umanità. Le sue priorità hanno effetti meno deleteri sul prossimo. Ciò lo rende un essere umano più attento ai propri simili e all’ambiente, ma non un essere umano più intelligente.
Se da una parte tale confusione tra “intelligenza”, “incapacità di non ragionare” e “morale” rende Come sono diventato stupido un romanzo dalla struttura concettuale traballante, dall’altra lo rende indicativo di una tendenza comune. Comune è il pensare che chi ragiona tanto, o semplicemente pensa tanto, sia intelligente, o encomiare con un “È intelligente” coloro che cercano di non ferire il prossimo.
Ma ancor più comune è l’altro lato della medaglia: usare l’accusa di mancata intelligenza come strumento per offendere e umiliare l’individuo di cui non si condividono le idee o la condotta.
E, così, sarà “stupida” la persona che conosce cinquanta nomi di marche di scarpe ma neanche dieci nomi di scrittori; “stupida” la sportiva rispetto alla contabile; “stupida” la persona che se ne frega dei comportamenti eco-sostenibili.
Potrebbe venir fuori che la prima “stupida” sa dedurre i trends della moda mentre il lettore forte si è limitato a imparare a memoria titoli di libri che non ha capito; che la seconda “stupida” sa applicare a occhio leggi fisiche mentre la contabile non saprebbe affrontare un solo ragionamento che non ricada nel suo ambito; che la terza “stupida” è molto più consapevole delle complesse catene di sfruttamento che alimentano il capitalismo rispetto alla persona che agisce nel piccolo in modo eco-sostenibile perché le hanno detto che “è bene così”.
Controintuitivo, forse, ma non paradossale.
Invece, a proposito di paradossi…
È stupido colui che offende il prossimo dandogli dello stupido?
Martin Page nasce in Francia nel 1975. Autore di cinque romanzi, ha vinto lo Euroregional Schools’ Literature Prize con il romanzo Come sono diventato stupido.
Written by Serena Bertogliatti
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