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Come sopravvivere agli aeroporti

Da Ilnazionale @ilNazionale

come sopravvivere agli aeroporti14 MARZO – Per viaggiare bene è necessaria una certa concentrazione. Vi sembrerà una banalità, ma se avete provato l’umiliazione di aver perso un volo perché eravate intenti a cincischiare, sapete di cosa parlo. Gli aeroporti sono il luogo più incline a spegnere la vostra attenzione. La luce artificiale, gli stimoli martellanti a comprare cose solo per sfuggire alla noia, il rimbombo delle voci, gli annunci agli altoparlanti che richiamano millemila volte gli stessi passeggeri ritardatari…si finisce per rintronarsi. Verrebbe da pensare, “ma si può essere così imbecilli da non accorgersi che il tuo volo sta partendo??”. Ebbene, sì.

Una delle prime volte che viaggiai da sola andai a Londra per un weekend e mi divertii tantissimo. Ai mercatini di Camden Town conobbi un gruppo di italiani che vivevano lì e mi portarono in giro per locali e al Ministry of Sound (un postaccio abbastanza sordido, per la verità) a ballare fino a mattina, e io mi sentii veramente cittadina del mondo. Eccomi lì, a poco più di vent’anni, a girare per Londra come fosse casa mia, che gagliarda che sono!

Il giorno del rientro andai all’aeroporto sentendomi troppo la migliore, questa sono io che guardo fuori dal finestrino del treno ascoltando i Clash, ragazzi quante ne so. Arrivai con congruo anticipo, tronfia come una tacchina, fate largo a quella che sa come si viaggia! Cominciai a cercare il banco del check-in per il mio volo, cerca, cerca, cerca, ma dov’è? Alla fine, un po’ scocciata perché una che ne sa a pacchi come me non dovrebbe chiedere aiuto alle hostess di terra, mi rassegnai a chiedere informazioni. La hostess guardò il mio biglietto, inarcò le sopracciglia, poi guardò me e infine disse: “Il tuo volo parte da Heathrow. Questo è l’aeroporto di Gatwick”.

Qualche mese dopo sentivo di aver imparato la lezione e di essere diventata una viaggiatrice veramente esperta e concentrata. Quando atterrai a Barcellona per uno scalo mi fiondai a vedere qual era il mio banco del check-in. Lo trovai senza problemi, ok questa volta sono sul pezzo, mi sedetti di fronte al banco e attesi che finissero il check-in di un volo Aeroflot e aprissero quello del mio volo. Attesi, attesi e attesi, e quando mancava mezz’ora al mio volo finalmente il mio cervello si attivò e cominciò a produrre domande utili. Tipo: non avranno mica cancellato il mio volo? Ma perché nessuno mi ha avvertita? Che io sono una grande viaggiatrice, non ho mica tempo da perdere con questi cialtroni! Non sanno con chi hanno a che fare, questi qua! Qui cadranno delle teste, altroché! Puntai una hostess di terra e sventolai il mio biglietto sotto il suo naso. Lei prese il biglietto, lo guardò, inarcò le sopracciglia, poi guardò me e infine disse: “Il tuo volo parte dal terminal 2. Questo è il terminal 1. Il tuo volo è stato chiuso 15 minuti fa.”.

In entrambi i casi le hostess si presero a cuore il mio caso umano, mi consegnarono più mortificata che mai a una collega spiegandole la situazione, e fui sistemata sul volo successivo senza sborsare un centesimo. La ferita nell’orgoglio però mi brucia ancora.

Da questi esempi possiamo trarre un insegnamento molto utile per un viaggio soddisfacente: leggiamo molto, ma MOLTO attentamente il nostro biglietto aereo.

Un’altra volta rimasi inchiodata in aeroporto per un sacco di tempo, ma stavolta non era colpa mia. Ero in Australia e dovevo volare da Townsville a Sydney, ma per problemi tecnici ci fecero atterrare a Brisbane, dove cancellarono il volo, quindi ci portarono in pullman fino a Coolangatta, cancellarono il volo anche lì, e ci dissero che la mattina successiva alle 4 ci avrebbero portati in pullman di nuovo a Brisbane, da dove sarebbe partito il volo per Sydney. Sicché io ed altri raminghi ci sistemammo alla meno peggio per bivaccare all’aeroporto. Dopo un po’ arrivarono due poliziotti che molto gentilmente ci informarono che l’aeroporto chiudeva per la notte e potevamo andare a dormire sulle panchine dei giardinetti lì fuori. Le panchine erano già tutte occupate da altri passeggeri bivaccanti, inoltre faceva davvero freddo, e restammo a grattare le porte chiuse dell’aeroporto come dei gatti affamati, nella vana speranza che qualcuno ci accogliesse. Ritornarono i poliziotti e ci dissero che se fossimo stati buoni e zitti ci avrebbero portati in centrale dove avremmo potuto dormire sulla moquette degli uffici al piano superiore, almeno saremmo stati al caldo e potevamo usare il loro bagno. Fu così che passai una notte della mia vita sul pavimento della centrale di polizia di Coolangatta, Australia, e la mattina all’alba fui svegliata insieme ad altri bivaccatori da un agente che ci aveva anche portato succhi di frutta e merendine, e poi ci accompagnò a prendere il pullman. Poliziotti di Coolangatta santi subito!

Che dire? Ancora una volta ribadisco che qualunque cosa vada storta in un viaggio, si tratta sempre di un’eccezione, e le cose belle sono sempre più numerose degli incidenti di percorso. Dovremmo cercare di non farci mai prendere dallo sconforto e dal malumore, ma, per quanto possibile, riderci su. Tutto può essere risolto, ed è sempre un piacere scoprire che sulle vie del mondo, anche le più sperdute, ci sono spesso degli stranieri gentili pronti ad aiutarci.

Sarah Baldo


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