Foto: Sledzik1984-Wikicommons
Sodoma potrebbe essere distrutta per la seconda volta, ma per carità, niente fuoco divino. Stando alle analisi dei media gay internazionali, bar, quartieri, disco e cruising godrebbero di pessima salute insieme al giornalismo tematico, alle chiese friendly, alle spiagge nudiste e ai maschi pompati di steroidi. L’Entrepreneurship Magazine, un giornale economico, prevede addirittura il tramonto dei bar gay esattamente per il 2020.
In effetti, un breve tour per i quartieri gay sparsi in ogni angolo del globo è sconsolante. Negli Stati Uniti è stop, o quasi, ai mega eventi dance del controverso “Circuit”, party a base di migliaia di decibel frequentatissimi da gay, che dopo un picco nel 2000, sono crollati con l’addio prematuro ai vari “Red Party”, “FireBall”, “The Morning Party”.
A New York ha chiuso l’enorme discoteca Roxy, mentre Christopher Street, il quartiere gay simbolo del movimento dei diritti, sarebbe in degrado per l’ampia diffusione di spaccio e prostituzione. Rallentano la somministrazione di alcolici e le “scheccate” da bar anche a Toronto: due locali rimasti contro i sei di solo una decina di anni fa e a Boston sette sopravissuti, erano sedici negli anni ’90. Auckland ha uno solo superstite, mentre a Miami i locali gay sono ormai tutti misti. Il declino di San Francisco e dintorni è diventato oggetto di discussioni accademiche con una tesi intitolata Gay bar nella Silicon Valley, studio del declino di una istituzione sociale. E non si chiude solo in America.
A Tokyo si spengono definitivamente le luci stroboscopiche in almeno un terzo dei club del quartiere gay Ni-chôme, secondo i dati pubblicati dall’ Independent. L’economista australiano Brad Ruting, rileva il declino di Oxford Street, il quartiere gay di Sydney: negozi e locali sono sempre meno gay e gli omosessuali sono poco interessati a frequentarli. Giusto per aggiungere un tocco di esotismo, il Mumbai Mirror, accenna che a Nuova Dehli, in India, sarebbero deserti persino i tradizionali luoghi di cruising all’aperto sostituiti dalle chat.
Anche le notti della vecchia Europa non godrebbero di perfetta salute. La scena gay di Londra, in un report di Time Out, nonostante il sempre considerevole numero di appuntamenti settimanali, sarebbe in degrado per una svolta auto-distruttiva, tra droghe pesanti, morti per Ghb, una pericolosa droga sintetica, e sesso non protetto.
Non scorrono più fiumi di champagne nemmeno a Parigi, dove i locali del Marais sono alle prese con norme sempre più restrittive tanto che il mensile Têtu ha intitolato una inchiesta “Le notti di Parigi hanno un futuro?”. Più a nord, Copenhagen chiude due locali storici e concentra i party nel week-end, così come Amsterdam, dove ha chiuso la storica discoteca Exit e il quartiere gay nei giorni feriali sarebbe pressoché deserto.
In tutte le analisi sulla pessima salute delle notti gay tra gli imputati d’eccezione, oltre alle turbolenze della crisi economica, c’è evidentemente internet che avrebbe accolto la comunità gay ormai orfana di spazi pubblici.
Ma, tra le righe del nefasto bollettino medico, più che una condanna a morte, si legge una “crisi” di tumultuosa trasformazione. Nei paesi che hanno raggiunto un buon grado di accettazione dell’omosessualità è maturato un sentimento comune che vive il locale esclusivo come un anacronismo. La scomparsa delle nuove generazioni dai locali gay storici della scena internazionale ne è la più limpida testimonianza: per chi è cresciuto a sesso scaricabile dal web e Will & Grace l’orientamento sessuale è un dettaglio, la visibilità scontata e l’esclusività dei locali gay non necessaria.
Ma allora, chi e cosa frequentano i gay nel mondo, oltre a internet?
Secondo Winq, un patinato giornale di cultura queer globale, il futuro che già stiamo vivendo è nei locali misti. Il resto lo si può tranquillamente godere con un giro preventivo su GayRomeo, frequentato sito di incontri on-line. Tramontata poi l’era delle grandi discoteche, l’offerta estera si starebbe specializzando in micro-nicchie. È il caso di New York dove la serata “Mantrax!” accoglie gay appassionati di heavy metal. La Grande Mela offre spazi anche al “Party Tall” per uomini alti più di un metro e ottanta o addirittura al “Main Man”, una feste gay dedicata agli omosessuali che odiano le feste gay. A Washington è grande successo per un bar sport, 10 maxi schermi che proiettano partite, che ha appena inaugurato una serata friendly. Il gestore che fino a ieri serviva solo tifosi eterosessuali dice: “Non immaginavo ci fossero tanti gay e lesbiche amanti dello sport”.
I sex club, per parte loro, rispondono alla crisi riducendo il dress code solo ai calzini al Club Church di Amsterdam, mentre a Parigi e Berlino funzionano serate per ogni feticismo immaginabile. La crescita globale del bareback, dell’uso di droghe soprattutto nei sex club e delle infezioni da Hiv non sembrano impensierire più di tanto, mentre a Londra alcuni locali affrontano il problema offrendo stanze giusto per smaltire gli effetti nefasti del Ghb.
L’allarme ecatombe globale della scena gay va quindi riclassificato piuttosto come mutazione antropologica della notte gay. Prova ne siano anche quei paesi dove i locali godono di ottima salute, a dispetto della crisi della cultura del divertimento nelle capitali occidentali.
Accade in tutto l’est europeo e specialmente a Varsavia, con una scena gay frizzante e in costante ascesa. A Cuba, nel gennaio scorso, è stata inaugurata la prima discoteca gay ufficiale, mentre centinaia di gay con gli occhi a mandorla ballano Madonna, Lady Gaga o Kylie a Shanghai al Club Bobos e Singapore è la destinazione gay più cool dell’Asia. Sono città che solo oggi sperimentano una scena visibile ed esclusiva e che, tra trent’anni, si troveranno probabilmente a fare i conti con comunità gay che considererà l’esclusività un anacronismo.
L’Italia, con una quarantina d’anni di movimento di liberazione gay alle spalle, dovrebbe essere giunta al giro di boa delle notti gay, ma per le sue ben note peculiarità mostra ancora una volta una situazione particolare. Da nord a sud si spende meno e si esce meno, tanto che il numero di ingressi dei sessanta club affiliati al Circuito uno di Arcigay ha un trend che segue esattamente quello della crisi economica: un meno 3% tra 2008 e 2009, a inizio crisi, per arrivare a oggi con un meno 10% complessivo, traducibile in migliaia di ingressi in meno. Ma nonostante i numeri non lusinghieri i locali non hanno chiuso, e nelle notti gay italiane si intravedono, solo in embrione, le novità che abbiamo osservato sulla scena internazionale.
Al Cassero di Bologna funzionano bene i party molto tematizzati con un pubblico misto, mentre Muccassassina di Roma tiene: “Nonostante la crisi i risultati di quest’anno sono ottimi, ma in tutta la Capitale c’è movimento e ci sono nuove serate, anche underground, a partire dal lunedì. In una città dove la gay street muove i primi passi solo ora c’è un terreno nuovo e ancora molto da costruire. E speriamo che l’Europride porti a un nuovo rinascimento”, spiega l’art director Diego Longobardi.
A Milano non si può parlare di crisi per Join The Gap (c/0 il Borgo del Tempo Perso), ormai da anni la domenica gay per eccellenza organizzata da Arcigay Milano, a costante e massiccia frequentazione di giovani, mentre dai 30 anni in su sta vivendo una seconda giovinezza il sabato dello storico One Way. Stefano, il responsabile, spiega: “Offriamo un’atmosfera familiare, musica dance e prezzi bassi e abbiamo coinvolto molta gente. È cambiato l’orizzonte delle notti milanesi, è tramontato lo sballo totale e il fashion. La clientela ci chiede qualcosa di intimo, tranquillo, vuole sentirsi a casa sua”. Vanno bene, senza rincorrere le notti di Ibiza o New York del tempo che fu, anche le partecipate serate dei Magazzini generali e di “Barbarella”, ma c’è un’altra Milano che, come altre città europee, ha abbandonato senza rimpianti i luoghi tradizionali della movida esclusivamente gay, e che preferisce il misto del “Patchouli”, con karaoke, drag queen tra ragazzini sculettanti etero, lesbiche, gay e trans. O che prima della discoteca si ritrova nell’atmosfera casual chic del Mono: modernariato, cocktail abbondanti e barbe gay alternative in un contesto però almeno per definizione “misto”.
Molto più a sud, dove la scena gay è ancora una novità, ci si ingrandisce. Giovanni Caloggero, amministratore del gruppo Pegaso di Catania, che gestisce la più grande discoteca gay del meridione dichiara: “In questi ultimi due anni l’aumento di presenze è di oltre il 20% e ci vengono a trovare persino dalla Puglia e dalla Calabria. Abbiamo inaugurato una seconda pista e nuove serate come quella della domenica invernale. Siamo in crescita, altro che crisi”. Insomma la movida gay italiana mantiene dei capisaldi che sembrano non risentire più di tanto dell’aria di smobilitazione che spira dalle storiche mecche gay internazionali. Anche da noi, però, tra i più giovani si diffonde la predilezione per situazioni meno etichettate. Francesco, 20 anni, intercettato al Borgo spiega: “Ieri serata etero del Karma, ero qui con i miei amici etero, oggi, serata gay, sono ancora qui con loro. La musica è molto diversa ma sono due belle serate”; Paolo, 18 anni, romano, mentre sorseggia una birra sulla gay street si chiede che “cos’è un cruising? Non ti basta il web per trovare?” e Filippo, 19 anni, di Torino in chat conclude: “Non capisco questa cosa dei locali gay esclusivi, io vado ovunque”.
Speriamo che il trend rappresenti un progresso, anche se qualche punto interrogativo in proposito c’è. (Pubblicato in “pride”, febbraio 2011).