
Perché questo fine settimana la scelta e l’invito alla lettura dell’ultimo libro di don Roberto Repole, canonico di San Lorenzo, in Torino, e attualmente anche presidente dell’Associazione teologica italiana (ATI) ?
Perché il testo, un autentico dono al lettore attento, offre l’opportunità di una seria riflessione sull’ essere Chiesa per noi, nel XXI° secolo, con tutta la mole di un bagaglio prezioso, e mai dimenticato, quali sono i documenti del Vaticano II e un Papa, quello venuto appunto “da lontano”, come Jorge Mario Bergoglio.
Cioè Papa Francesco.Una personalità davvero straordinaria, grazie ai suoi carismi, per credenti e non credenti, che lo amano e lo stimano a prescindere.
Un uomo troppo “umano”, se così possiamo dire.
Che nessuno di noi si attendeva e che è per noi, compagno di viaggio, per affiancarci in tempi molto difficili.
E questo a prescindere dal maquillage mediatico talora pure eccesivo, con cui la sua immagine ci viene proposta.
Inoltre l’autore mette a fuoco tutta una serie di concetti, che aiutano a rendere attuale il messaggio cristiano in un mondo laicizzato al massimo.
Un mondo che non di rado fa sentire la gente pari a marziani calati all’improvviso sulla Terra in quanto in materia di etica e di moralità è difficile, in più circostanze, riuscire a raccapezzarsi.
Con le giovani generazioni ma, purtroppo, non solo.
E qui mi riferisco agli scandali di natura amministrativa di moltissimi colletti bianchi.
Partendo dal titolo è subito chiaro che le “stelle” per don Roberto non sono in cielo. Lontane.
Le stelle siamo noi.
Oppure dobbiamo noi impegnarci a diventarlo proprio per essere manifesti.
Punti di riferimento per chi li cerchi e desideri trovarli.
Inoltrandosi nelle pagine si affronta subito il concetto di secolarizzazione del nostro tempo per cui nessuna supponenza dall’alto da parte della gerarchia ecclesiastica.
Semmai la capacità costante d’accompagnare con modestia e affetto colui o colei che, al momento, appaiono lontani.
Questo è dono autentico e gratuito. Dono che rimanda a quel Gesù, nostro Dio che, più di duemila anni fa, ne ha fatto testimonianza vivente nella propria carne, accettando di tutto per amore dell’umanità.
Persino la morte di croce, destinata all’epoca ai malfattori.
E l’impegno cristiano ovviamente è, ieri come oggi, il raggiungimento pieno dell’unità dei credenti in Lui.
E, tasto dolente, più avanti si argomenta anche di democrazia ai nostri giorni.
Democrazia che tale non è affatto. E lo sappiamo bene.
Ecco , allora, il Vangelo alla mano per rendere perfettibile ciò che perfetto non è.
E questo è possibile specie per coloro che intendono occuparsi della “cosa” pubblica in tutta coscienza e onestà.
Non certo per quelli che intendono da subito gestire il potere per il proprio tornaconto personale.
Infatti l'autentica libertà del cristiano (uomo o donna) si misura solo nel momento in cui, lui o lei, sanno rendersi responsabili del proprio prossimo.
E’ questa responsabilità che consente di potersi dire “cristiano” e non una superficiale caricatura di baciapile ad uso e consumo delle odierne luci della ribalta.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)






