Magazine Diario personale

Come tutto ebbe inizio - parte seconda

Da Romina @CodicediHodgkin

 

Alcuni giorni fa vi ho raccontato di come si arrivò alla diagnosi. Anzi, er essere precisi, mi fermai un pò prima.
Oggi riprendo il mio racconto.
Come ricorderete, eravamo rimasti che io ero ridotta ad una sorta di mocio vileda umano e che il mio medico di famiglia continuava a non volermi far fare accertamenti.
Come ultima cosa, vi dissi che il mio ex, esasperato dal mio continuo grattarmi e da tutti gli altri miei comportamenti folli di quel periodo, parlò dei miei problemi con suo padre, tecnico di laboratorio in ospedale.
Il padre capì al volo.
Cercò una scusa per portarmi in ospedale senza farmi spaventare. Io all'epoca avevo sul collo e sotto l'ascella dei piccoli ciccioli di carne e lui mi chiese se volessi toglierli. Accettai.
Il suo scopo, in realtà, era quello di capire cosa stesse succedendo. Aveva già un'idea piuttosto precisa, ma voleva una conferma. Mi portò dall'allergologo. Il medico andava molto di fretta e mi dedicò poco tempo, ciò non di meno, decise di farmi fare le prove allergiche, sia quelle che si fanno attraverso i piccoli graffi sugli avambracci, sia quelle che si praticano con i cerotti sulla schiena. Secondo lui, per quel poco che aveva visto, poteva anche essere una brutta forma di allergia al Nichel.
Sulle mie braccia non erano comparsi ponfi di sorta, quindi bisognava solamente aspettare due giorni e togliere i cerotti. Nel frattempo, credo quello stesso giorno, il padre del mio ex mi fece fare le analisi.
Il 21 agosto fu il compleanno di mia madre. Mi fecero alcune foto, di quelle che faccio enorme fatica a guardare perchè non sembro io. All'epoca tenevo un album per le mie foto. La prima risale al mio primo compleanno. L'ultima, quella che chiude l'album, risale al 21 agosto. il giorno prima che tutto cambiasse. Il giorno che divise il "prima" dal "dopo". A volte la vita ci lancia dei segnali molto precisi, ironici forse.  
Il 22 agosto andai, sempre con il padre del mio ex, a togliere i cerotti e a fare altre analisi. Lui sapeva già che i prelievi che avevo fatto pochi giorni prima non andavano bene, ma voleva prima vedere cosa risultasse dalle altre prove allergologiche.
Stavolta, l'allergologo si dedicò a me con molta più calma. L'infermiera strappò i cerotti e si sentì un coro di "ooooh!!" seguito da grasse risate. Non ero allergica praticamente a niente. Tranne alla colla dei cerotti. Avevo la schiena color aragosta e, a quanto pare, una cosa del genere non l'avevano mai vista.
Mi ci vollero tre giorni a spalmare olio johnson per togliere i residui di colla. Facevo luce da quanto ero rossa!
Fatto sta che l'allergologo decise di sentire un pò come stavano i miei polmoni.
"Inspira lentamente, espira...brava, così. No, non tossire! Cosa succede?"
"Non lo so, mi capita spesso. A volta, tossendo, mi ritrovo in bocca una pappetta bianca, un pò come il rigurgito dei neonati."
"Capisco. Reflusso gastroesofageo. Io non so chi è che ti ha detto che sei allergica, ma i tuoi non sono assolutamente i polmoni di una persona allergica. Mi fai vedere la gola? Umh. Sembra quasi ustionata. Tra la tosse e il reflusso hai la gola molto rovinata. Hai bisogno di una lastra al torace e di altre analisi. Subito.".
Il padre del mio ex mi accompagnò in radiologia. Feci la radiografia. Dopo circa un'ora, venne da me con la lastra in mano e lo sguardo preoccupato.
"Romina, c'è qualcosa che non va nella lastra."
"Nel senso che non è venuta bene? Devo rifarla?"
"No, non hai capito. Nella lastra c'è qualcosa che non ci dovrebbe essere.".
Da questo momento in poi si fa tutto un pò confuso. Non riesco a mettere bene in sequenza temporale alcuni episodi. Purtroppo non stavo benissimo di testa. La mancanza di sonno, lo stress e il malessero mi avevano resa poco lucida.
Ricordo che mi portò di corsa in ematologia per parlare con uno specialista. Il Dott. P., il quale prese in mano la lastra e, non lo dimenticherò mai, nel guardarla scosse la testa e allargò le braccia, con lo sguardo frustrato.
Ecco. Questo è uno di quegli indizi che innescano la vaga percezione di qualcosa di lievemente sbagliato..d'altro canto, la mia sagacia e la mia perspicacia sono leggenda. Il fatto che, a guardare la lastra, sembrava che io avessi due cuori uno accanto all'altro, non so perchè ma non mi convinceva...
Quello stesso pomeriggio, mio suocero venne a casa mia con il referto della lastra e le analisi. Con una scusa, spedi me e il mio fidanzato di allora (suo figlio, ovviamente) fuori casa. D., il mio ex, ne sapeva sicuramente più di me e suo padre gli aveva chiesto già prima di arrivare di tenermi lontana da casa almeno un'ora.
Intanto, suo padre parò con i miei genitori. Gli disse che con ogni probabilità si trattava di leucemia o comunque qualcosa di molto simile. In ogni caso il problema era molto serio ed avevamo perso veramente tanto tempo.
Quando tornai a casa, i miei genitori avevano la stessa espressività di una maschera di cera. Anche quello fu uno degli indizi che mi fece sospettare che forse, forse, il medico di famiglia si sbagliava.
Scherzi a parte, io sapevo perfettamente di non essere nè isterica, nè depressa, nè allergica. Lo avevo sempre saputo. Alla fine, dato che tutti continuavano a ripetermelo da mesi, una parte di me credeva a questa versione. Ma la vocina dentro di me continuava, rabbiosa ed insistente, a ripetermi "c'è qualcosa che non va, c'è qualcosa che non va". Nel momento in cui ebbi conferma che avevo sempre avuto ragione, paradossalmente, iniziai a sentirmi meglio. Avevo una paura fottuta, ma sapevo che non ero pazza e questo mi era sufficiente a sentirmi meglio. Erano i miei genitori, ora, a stare male. Quella sera, mamma cerco di mettermi a parte del minimo indispensabile di verità. Disse che, con ogni probabilità, era  un tumore, ma che lei non sapeva se fosse benigno o meno. Cercò di farmi coraggio come poteva, mi disse di non preoccuparmi. Mi bastavano il suo sguardo e il volto teso, però, a capire che si, era il caso di preoccuparmi.
Io ancora non avevo il rapporto confidenziale che ho ora con gli aghi. L'infermiera era molto inesperta. Non prese la vena al primo colpo. Invece di sfilare l'ago e riprovare, iniziò a girare l'ago a casaccio dentro al mio braccio, sperando che l'ago beccasse miracolosamente la vena. Mi fece molto male. Intervenne una delle infermiere più esperte, che col tempo imparai a conoscere, cacciò con forza la pivellina (io le avrei assestato anche una pedata ma ero troppo stranita per farlo) e fece il prelievo.
Fuori dalla porta della saletta per le analisi, vedevo mia madre agitarsi in modo anomalo. Cercava di chiudere la porta, faceva strani cenni alle infermiere. Loro non capirono e non ebbero modo di chiudere la porta per evitare che io vedessi cosa stava succedendo. Passarono due infermieri che trascinavano una barella. La persona che vi era stesa sopra aveva il lenzuolo steso sul viso. Più tardi seppi che era un ragazzo della mia età, 21 anni.
Quando vidi la barella capii immediatamente. Mi cadde tutto addosso: la paura, lo stress, l'angoscia per quel prelievo così faticoso...svenni.
Quando mi fui ripresa, parlammo con una dermatologa perchè, contestualmente, avevo avuto un lieve problemino di pelle. Praticamente avevo le squame. Quel che più attirava l'attenzione, però, era l'enorme brufolo sullo zigomo destro. Sapete che ho ancora il segno lasciato dal maledetto? Albergava sereno sulla mia faccia da settimane. Era enorme. Una roba che era impossibile non notare. Non ne sono sicura, ma in un paio di occasioni ho avuto la sensazione di sentire delle voci provenire dall'enorme bubbone...
Uscendo dallo studio dell'ematologa con le mie prescrizioni per l'Ictiane e un sacco di altre creme e cremine, trovai i miei genitori che parlavano con l'ematologo, il Dott. P. Mi chiese aggiornamenti e io, a mia volta, volli essere informata delle ultime novità. Mia madre, a quel punto, in uno slancio di protezione prese per il gomito l'ematologo e cercò di trascinarlo via.  Lui, non appena capì cosa voleva fare mamma, le disse "Signora, no. Romina è maggiorenne. Se c'è qualcuno con cui devo parlare è lei. Se proprio vogliamo dirla tutta, è Romina a dover scegliere in che misura informare voi...". Il Dott. P. è uno di quei santi medici che ritiene indispensabile che il paziente sia perfettamente informato di quanto gli sta accadendo. Divenne il mio mito. Un pò meno quello di mia madre...
Mi disse, lì, nel corridoio, che era necessaria una bipsia. L'avrei fatta il giorno dopo, contestualmente alla tac.
Tornammo a casa in silenzio. Io, ripeto, nonostante la paura mi sentivo in qualche modo sollevata. La sera preparanno il borsone per il mio ricovero. Pigiami, spazzolino, libri e tutto il resto. Il mio stato d'animo era di profonda confusione. Andava tutto così veloce. Non provavo niente. Ricevevo le informazioni e le elaboravo come fossi un robot.
Il giorno dopo, tornammo in ospedale. Entrai in radiologia e mi preparai per la prima tac della mia vita...ah, la prima tac non si scorda mai...
Mentre ero stesa, cullata dal ronzio della tac, accadde qualcosa di incredibile e inaspettato: mi addormentai.
Pensate quanto dovevo essere stanca per addormentarmi in quella situazione. Secondo me, in parte era dovuto perchè la mia tensione stava già calando. Ok, gente esperta stava venendo a capo del problema, un problema che esisteva davvero. Mi sentivo più tranquilla.
Ad un tratto, il mio sonnellino venne interrotto dai medici e dalle infermiere. Si stavano preparando per la biopsia al torace. Ecco. Ora accadde qualcosa di veramente sgradevole.
Si aprì la porticina che collega la stanza dove si trovano il macchinario e il paziente da quella dove sono i radiologi. Si aprì e tutto quello che io captai era una parola che finiva in "-oma".
"-OMA"?! Ma che siete matti? No-no, niente -oma. Lo so che -oma vuol dire tumore. No, no, no, non se ne parla. Si, lo so che me lo dovevo aspettare, ma non è mica carino dirlo sul serio. Porca paletta, che ha detto? Finiva in -oma, ok, ma la parte prima com'era? C'era una m? una n? Boh. Porca paletta, non dormo da mesi e mi appisolo nell'unico momento in cui dovevo essere perfettamente vigile!
Uno dei medici indicò un'area del mio stomaco e disse "c'è del materiale anche qui, e qui, e qui."
Materale? Che materiale. No, ovviamente si riferisce all'ovatta che hanno poggiato sulla mia pancia. A che altro? Il problema poi è davanti ai polmoni, è lì che mi hanno detto che ho una massa di 11cm, mica nello stomaco. Il medico tirò fuori lo strumento per la biopsia e lì fu la fine.
I miei pensieri sconnessi si interruppero quando venni circondata dalla pattuglia di camici bianchi. A quel punto ebbi un attacco di panico e non fui in grado di capire più niente. Ricordo solo che tremavo e battevo i denti, nonostante fosse agosto. Non riuscivo a respirare e piangevo
Tutto quello che il radiologo fu in grado di dire ad una ragazza di 21 anni, in preda ad un attacco di panico perchè stava per fare una biopsia che conferamasse un cavolo di "qualcosoma" fu:
"Senti, quando hai finito diccelo che magari lavoriamo". Per fortuna, l'infermiera dimostrò grande umanità. Ringhiò contro il radiologo e mi fece un pò di coccole. Mi stringeva la mano, mi diceva di stare tranquilla, che tutto si sarebbe sistemato e che però la biopsia era necessaria. La sua voce mi cullò e smisi di piangere. Dopo qualche minuto dissi che ero pronta.
Disinfettarono una zona appena sopra il seno sinistro e il medico brandiva quello strumento inquietante. Chiesi che mi venisse coperto il viso in qualche modo, non volevo vedere. La dolcissima infermiera mi poggiò la mano sugli occhi.
Ad un tratto, venni "accoltellata" la prima volta. Non presero materiale sufficiente e seguirono altre due biopsie in rapida successione. Devo dire che, passata la prima, la seconda e la terza mi spaventarono molto meno. Ok, non è così terribile, però ora ne ho fatte 3 e potete anche farmi uscire di qui.
Mi portarono fuori sulla barella, ero stremata e trovai la mia famiglia lì ad aspettarmi. Mamma chiese dove mi avrebbero portata. Terapia intensiva, fu la risposta.
Terapia intensiva? Confermo: voi siete scemi. Io in terapia intensiva non ci vado. No-no. Datemi il tempo di riuscire ad articolare una frase e poi vi faccio vedere io. Tutto voglio sapere, tutto. Vi faccio un terzo grado come non l'avete mai visto. Ah, come riprendo l'uso della parola...
Ad un tratto, entrati nel corridoio che portava alla terapia intensiva riapro un attimo gli occhi e vedo...la Madonna. Ecco, lo sapevo. Certo, non mi aspettavo un trapasso così repentino. Peccato, non ho neanche visto la luce in fondo al tunnel. Chiudo gli occhi e li riapro.
Davanti a me c'è un ragazzo con lunghi capelli rosso scuro legati in una coda, camice e cuffia verdi, occhi castani, barba. Data la giovane età, penso si tratti di un infermiere. Mi chiede come mi sento. La risposta che vorrei dargli è "tu cosa ne pensi?" ma la mia educazione - nonchè il fatto che sono troppo stanca per parlare - me lo impediscono. Farfuglio qualcosa senza senso e il bel ragazzo dai capelli rossi (che in realtà è un medico) si dà una risposta da solo.
A questo punto inizia il mio ricovero, che sarà, oltre alla chemio, la parte più lucida e rilassata del mio racconto.
Per ora, però, ve lo risparmio...alla prossima puntata, sempre su questi schermi!


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