Magazine Diario personale

Come tutto ebbe inzio - Sesta parte

Da Romina @CodicediHodgkin
giovedì, 28 aprile 2011

Come tutto ebbe inzio - Sesta parte

   L’ultimo episodio della mia “saga” raccontava del mio trasferimento in chirurgia toracica e della toracoscopia cui venni sottoposta il 5 settembre 2005. Due o tre giorni dopo venni finalmente dimessa e feci ritorno a casa. Ricordo che pioveva. Io e mamma ci avviammo alla macchina sotto una pioggia scrosciante. Io mi sentivo stanchissima. Volevo solo il mio letto, volevo solo riposare. Non volevo vedere nessuno, avevo solo bisogno della tranquillità della mia camera. La mia camera era un posto sicuro e reale. Tutto quello che era al di fuori della mia stanza era confuso, distorto, spaventoso. Avevo bisogno di riottenere la mia normalità dopo due settimane di ricovero. Mi vennero a trovare il mio fidanzato, mia sorella ed i miei zii. Tutti cercavano di parlare piano e mi trattavano come una bambola di porcellana. Io, dal canto mio, stavo cercando di metabolizzare quanto stava accadendo. Per certi aspetti, devo dire che fu abbastanza facile: la sofferenza che aveva preceduto la diagnosi era stata tale da farmi accettare con una certa serenità quanto avrei dovuto affrontare. La consapevolezza di non essere pazza mi bastava per stare un po’ più tranquilla.
 
E poi, siamo onesti: capivo e non capivo. Si, sapevo perfettamente di avere il cancro, sapevo perfettamente che avrei dovuto affrontare una chemioterapia e che non sarebbe stata una passeggiata, ma dentro di me non avevo esattamente la piena consapevolezza che lo avrei fatto davvero. Era un guaio veramente troppo grosso per capirlo bene, in quella fase. La mia chemioterapia la vedevo come qualcosa che, si, per carità, prima o poi avrei fatto. Meglio poi che prima, in ogni caso. Un domani l’avrei fatta. Anche un dopodomani, possibilmente. E’buffo come si reagisca davanti a certe circostanze: una parte di me era perfettamente consapevole di quanto era accaduto (e di quanto ancora mi aspettava) e lo aveva accettato con serenità perché erano mesi che desideravo sapere cosa ci fosse che non andava in me. Non che la risposta a questo mio quesito fosse proprio esaltante, ma era pur sempre una risposta. Un’altra parte di me, invece, viveva ancora in un mondo ovattato, irreale, confuso, dove accadevano cose assolutamente poco credibili. Il cancro? A me? Non è possibile. Come posso avere un linfoma se fino a venti giorni fa neanche ero troppo consapevole di avere un sistema linfatico? Il sistema linfatico è qualcosa che si studia solo se i professori sono stati particolarmente veloci nello spiegare il programma e quindi avanza del tempo per spiegare anche quello, e comunque lo si lo si studia molto all’acqua di rose. Avevo vaghi ricordi in merito risalenti al biennio superiore. E vogliamo parlare del timo? Che cavolo è il timo? Io pensavo al timo come un’erbetta per condire il coniglio, figuriamoci. Ma cosa salta in mente a questo organo sfigato che nessuno prende in considerazione di scatenare tutto questo casino?
   Dovevo assolutamente studiare meglio la faccenda. All’epoca i cancer bloggers non erano la realtà che sono ora, purtroppo. Un blog come il mio o come Oltreilcancro sarebbe stato una manna dal cielo per me, in quel momento. Tutto quello che trovavo riguardo al linfoma di Hodkgin erano testi scientifici, spesso facili da capire, spesso incomprensibili. Mi informai per bene. Lessi tutto quello che mi capitava a tiro. Capii subito che se volevo affrontare la malattia seriamente e serenamente la dovevo conoscere. E io imparai a conoscerla. Se vuoi combattere un nemico come il cancro devi imparare a fare due cose: la prima è conoscerlo molto, molto bene. La seconda è deriderlo per medicare la paura. Conoscere è alla base di tutto.
 
   Prima di dimettermi, i medici ci avevano istruite a dovere circa le medicine che avrei dovuto prendere a casa. Quanta roba! Cortisone, Trimeton contro il prurito, eparina, gastroprotettori, creme per la pelle (mi stavo squamando!), diuretici…serviva organizzazione per ricordarsi tutto.
   Così, decisi di passare in cartoleria e comperai un’agenda. La ricordo ancora, anche se purtroppo non so dove sia, temo si sia persa durante uno dei miei traslochi. Peccato, mi dispiace molto. La copertina dell’ agenda, o meglio, la Linfo – Agenda come l’avevo ribattezzata, raffigurava decine di spicchi d’arancia. La trovai perfetta. Arance = Vitamine = Salute ≠ Romina. Almeno per ora…io e la salute avremmo fatto pace, prima o poi. Io, intanto, come gesto di buona volontà avevo comprato l’agenda con le arance. Essendo un normalissimo diario scolastico, all’interno c’era la tabella per gli orari (quello provvisorio e quello definitivo). La tabella dell’orario provvisorio venne usata per ricordare quante e quali medicine avrei dovuto prendere e a quale ora. Erano troppe per ricordarle tutte, non avrei mai potuto farcela senza scrivere tutto! Inoltre, vi conservavo dentro i certificati medici, le impegnative, vi scrivevo le cose che dovevo fare. Non scrivevo cosa provavo. Solo quello che dovevo fare.
 
   Fatto questo, c’era un’altra cosa che dovevo fare. Avevo una pessima cera. Bisognava fare qualcosa. Tanto per cominciare, prendere un po’ d’aria. Poi, fare qualcosa per quelle occhiaie e per le sopracciglia che non avevo più perché me le ero grattate via tutte. Uscii e mi recai a piedi in profumeria. Spesi un occhio della testa. Comprai una matita per le sopracciglia, un mascara per occhi delicati, una crema per migliorare il colorito (si sa che chi fa chemio tende ad assumere una certa sfumatura grigio-verdastra), un ombretto e non ricordo più cos’altro.
 
   Ero tornata in ospedale per medicare la ferita. Poi vidi di nuovo l’ematologa, la quale disse che volendo potevo fare quattro chiacchiere con una psicologa. Dato che non avevo granché da fare, ci andai. Che esperienza. Una pazza. La dottoressa, non io. Aveva deciso che io dovessi per forza covare rabbia nei confronti della vita che mi aveva serbato questa sorpresina. La verità era ben altra. Io non ero arrabbiata. Avevo sofferto troppo per essere arrabbiata. Avrei volentieri dato una badilata sulle gengive al mio medico di base, ma quella non era una rabbia irrazionale: era una legittima incazzatura, che è diverso. La psicologa si prodigò con tutte le sue forze di farmi dire che ero arrabbiata, che mi chiedevo perché fosse toccato proprio a me ecc…quando si rese conto che io ero veramente Peace&Love come sembravo (cosa che sembrò deluderla tantissimo), si rassegnò e decise di aiutarmi in qualcosa di molto più concreto, ossia consigliarmi un modo delicato per dare la notizia ai miei nonni. Si, perché i miei nonni erano ancora dai miei zii. Decidemmo che sarebbero rimasti da loro, ignari di tutto finché non avessi fatto la prima chemio. I nonni abitavano con noi. Quando venni ricoverata, loro stavano trascorrendo qualche giorno in montagna con i miei zii. Si decise di prolungare la loro vacanza finché non si fosse capito bene cosa stava succedendo. Ne parlai con la psicologa, lei mi diede qualche dritta e mi congedò. Non la vidi più. In compenso, le mandai mia madre. Le dissi “io non sono arrabbiata e non credo di aver bisogno di lei, in compenso, credo di conoscere una persona che è assolutamente furiosa.”. In breve, le mandai mia madre…
 
Dopo quattro o cinque giorni dal mio rientro in casa, ebbi un piccolo crollo. Ingenua come una pargoletta, chiesi a mia madre quando, secondo lei, avrei iniziato la chemio. Posi la domanda con molta naturalezza. Ricordo che stavo spolverando il tavolo del salotto. Lei era in bagno a truccarsi, si affacciò e mi guardò. Poi disse “Be’, penso la prossima settimana.”. Non l’avesse mai detto. La prossima settimana?! Ma non se ne parla…è impazzita definitivamente anche mamma. La prossima settimana è troppo presto, oggi è già mercoledì! No, non esiste. Paralizzata dalla paura, tutto quello che riuscii a dire fu “Di già?! No!” e scoppia in lacrime. Stavo andando in iperventilazione. Avere un linfoma e dover fare chemio non significa necessariamente che la si debba fare sul serio, in tempi così stretti poi!. Mamma si avvicinò e mi abbracciò. Uno dei suoi rari abbracci. Mi feci un bel pianto e poi mi asciugai gli occhi. Restava ancora una cosa da fare. La dottoressa mi aveva già detto che i capelli mi sarebbero sicuramente caduti e mi consigliò di tagliarli prima di iniziare le terapie. Chiamai mia sorella e andammo insieme dal parrucchiere. La malattia non si sarebbe presa i miei capelli, avrei rinunciato a loro volontariamente. Con grande stupore del parrucchiere, chiesi di tagliare tutta la chioma. Non volevo più di due centimetri di capelli. No, non volevo dei tagli che prevedessero l’uso di gel. Chiesi di poter conservare la coda di cavallo che mi aveva tagliato. Anche quella temo sia sparita durante qualche trasloco.
 
Ora ero pronta. I capelli erano corti. La crema per il colorito l’avevo comprata. Le medicine le prendevo regolarmente. Me ne ero fatta grossomodo una ragione. Ora potevo iniziare la chemioterapia, cosa che puntualmente avvenne a metà del mese di settembre. Ma questa è un’altra storia…


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