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Come un buco nella pancia…

Creato il 09 marzo 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
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-Di Monica Grigolo

Come quando ti fanno un buco nella pancia e ci lasciano una pinza, una garza. Solo che poi, forse, con una radiografia, qualcuno se ne accorge dopo qualche anno e ti tolgono quello che non ti serve. Il buco però ti rimane. Nella montagna invece oltre al buco rimangono anche le scorie, che si chiamano amianto e uranio. E la ferita rimane lì aperta, un’infezione continua senza possibilità di cicatrizzazione.

35 chilometri o poco più di vitale importanza per arrivare a Parigi in 3 ore e mezza, perché le 5 di adesso sono troppe. Del traffico merci dei 4.500 TIR che ogni anno lasciano i loro gas di scarico sotto le nostre case solo l’1 forse il 2% deciderà di passare al trasporto su rotaia.

Non ci si aspettava una compattezza trasversale nel ribadire il no all’ennesimo stupro di queste montagne, non si pensava che per una volta si sarebbero anteposti i diritti di una natura sempre più violata agli interessi economici. E’ una lotta pacifica quella della gente di queste montagne, abituata al freddo e a ricavare anche sangue dalle rape. Ma è una lotta tenace. Un cartello l’altro giorno ricordava che dopo aver distrutto anche l’ultimo albero non ci si potrà nutrire con i soldi accumulati con quello che qualcuno chiama progresso. Da stolti.

Già, perché se gli stolti sono sempre esistiti, il problema è che un tempo al massimo avevano un cavallo, oggi ne possono avere seicento. Sì, perché oltre al TAV abbiamo anche la piaga dei SUV (Sport Utility Vehicles=grosse auto fuoristrada guidate dai montanari della domenica) e in compenso ci si perde di SOL (da solum, suffisso latino per definire il genere di suolo).

Come un buco nella pancia…

Però agli assertori convinti dell’alta velocità deve piacere Italo Calvino il quale ne “La speculazione edilizia” si chiedeva “Se tutti costruiscono perché non costruiamo anche noi?”.

Alcune persone hanno apparentemente programmato un disastro economico-ambientale, sapendo perfettamente di farlo. La spiegazione non è difficile; per capire è sufficiente sostituire alla regola del capitalismo teorico quella del capitalismo reale che dice, più o meno: è accettabile qualunque disastro economico purché le perdite siano addossate all’intera comunità e i guadagni rimangano nelle mani di chi gestisce l’operazione. Il che, per dirla tutta, non è una grande novità; ma in questo caso l’applicazione del principio è stata veramente grandiosa, lo schieramento di forze che l’ha sostenuta nuovo ed impressionante, e il cambiamento di regole che l’iniziativa ha comportato tale da modificare strutturalmente i lineamenti del diritto.

In questa valle chi scrive ha imparato a sciare, ad arrampicarsi e a riconoscere e apprezzare per il loro uso fiori e piante che saranno spazzate via. Ma tutto questo a chi specula non interessa. E a chi specula non importa né fornisce spiegazioni sul perché in Italia un chilometro di TAV costerà 31 milioni contro i circa 10 di Spagna e Francia, facendo finta che il resto di questo Paese abbia cose più impellenti da sistemare, tra sanità, trasporti locali e welfare pressoché azzerato.

La straordinaria trovata di addossare i costi alle generazioni future ha aperto di fatto un pozzo senza fondo. Di lì si pesca per coinvolgere partiti, consulenti, chiunque esprima dubbi; per promettere agli enti locali, che devono acconsentire al passaggio delle nuove linee, faraoniche opere di compensazione, per firmare impegni di qualsiasi tipo con la tranquilla convinzione di non dovere, a proprie spese, mantenere nulla.


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