diciassette di mattina, in giro odore di sonno, di bocca tenuta tutta la notte chiusa, di gente appena svegliata.
il cielo coperto ha intiepidito l’aria, e gli odori si fanno più vicini, in molti casi fastidiosi, la vicinanza umana non sempre è gradevole.
ma un finestrino è aperto, forse per asciugare l’umidità della pioggia, che dentro al diciassette entra dalle giunture allentate come nelle articolazioni di un vecchio.
dal finestrino arriva l’aria della mattina, aria fresca ma non fredda, un po’ pulita dall’acquata.
mi arriva al naso, lo alzo come mi hanno insegnato le generazioni di cani che ho amato, selene, roy, lupa, pampi, mela, bella, poco importa che fossero “miei” o no, tutti i cani appartengono ai bambini e tutti i bambini appartengono ai cani.
decido di ascoltare il vento e di farmi raccontare qualcosa di bello, prima di arrivare in ufficio e restare chiusa per le prossime ore.
e il vento mi racconta di giardinetti di condomini, di nonne, di ciabatte e di prati che stanno per partire.
mi racconta del “pratodietrocasa” che era, come dice il nome, dietro casa della mia nonna, dove si stendeva i panni su un filo condominiale e ognuno doveva portarsi le mollette da casa, cosa che a me faceva strano.
si scendeva insieme, nel pratodietrocasa, io raccoglievo margherite, “per portarle a zia”, la sorella “vecchia” della mia nonna, 1903.
c’era la salvia, nel pratodietrocasa, e il rosmarino, e un palone della luce sul quale era severamente vietato arrampicarsi, divieto rafforzato dalla storia di un ragazzo che così facendo ci aveva perso entrambe le mani, potevo crederci, quel ragazzo lo conoscevo, mi aveva raccontato lui come aveva ottenuto le mani meccaniche con le quali mi stupiva rompendo le noci.
poi, tornata di nuovo sul diciassette mi sono chiesta cosa fosse stato a raccontarmi quella vecchia storia del pratodietrocasa e mi sono guardata intorno.
una siepe era fiorita, di fiori bianchi da condominio, di fiori bianchi di marciapiede di periferia popolare, dove felice e contenta arrancavo dietro mia nonna, con in mano un pacco di caramelle comprate da brasilina e il caffè appena macinato della torrefazione.