Le commissioni sui Fondi comuni rappresentano i due terzi della performance della gestione e solo un terzo di questa va ai risparmiatori
In una elaborazione recente, pubblicata sul Corriere della Sera Economia, sono stati messi in evidenza l’ammontare e la destinazione delle spese che fanno carico ai Fondi.
Tra il 2001 e il 2012 i Fondi comuni italiani hanno generato una performance lorda di 65 miliardi di euro, di cui solo 13 sono finiti nelle tasche dei risparmiatori e 52 in costi. I conti sono già al netto del Fisco (al quale si
devono versare il 20% di tasse sul rendimento) e sono stati ottenuti utilizzando le serie storiche delle performance degli indici dei Fondi e del Ter (Total expense ratio), cioè i tassi totali di spesa pubblicati ogni anno dalle Sgr (Società di gestione del risparmio).
Per i Fondi di diritto estero, che oggi rappresentano quasi la metà del patrimonio con i loro 300 miliardi, la stima è un pò più incoraggiante: dal 2001 al 2012 le Sicav hanno ottenuto rendimenti per 78 miliardi di euro, di cui 34 sono stati commissioni sui Fondi comuni e 44 sono finiti nelle tasche dei risparmiatori.
Sommando i due valori si arriva a stabilire che ai sottoscrittori è praticamente toccato un terzo delle performance ottenute.
Ma dove vanno a finire le commissioni sui Fondi comuni?
Il 20-30% remunera il lavoro delle Sgr, il resto finisce nella catena distributiva, cioè alle banche che dominano il mercato in Italia e in Europa.
Il mancato decollo dei fondi nel nostro Paese è forse dovuto anche alla carenza di economie di scala e di efficienza. La gestione è un servizio ad alto valore aggiunto ed è giusto pagarla. Ma se le commissioni sui Fondi comuni sono molto alte ed ai risparmiatori restano solo le briciole, è evidente che qualcosa non va. Il fatto stesso che il risparmiatore debba pagare spese e commissioni anche in caso di risultati negativi del Fondo è una grossa distorsione. Sarebbe il caso di rivedere il sistema.