di Enzo Pennetta*
*biologo
È stato pubblicato nei giorni scorsi nel Giornale degli Atti della Fondazione Giorgio Ronchi [link all’articolo su TA] un intervento epistemologico di Michele Forastiere e Giorgio Masiero, un cui sunto era già apparso su UCCR.
Che un articolo critico nei confronti del darwinismo appaia in una prestigiosa rivista peer-rewieved italiana, costituisce per se stesso un avvenimento, se consideriamo quanto sia sensibile l’argomento trattato dai due Autori: mentre infatti è fisiologico al metodo scientifico mettere in discussione liberamente anche le teorie più consolidate – su ciò si poggia l’avanzamento tipico delle scienze naturali rispetto alle altre – risulta invece, come si sa, un delitto di lesa maestà vietato dal politically correct sollevare il ditino contro un pensiero del grande biologo inglese.
Riprendo sinteticamente per i lettori di UCCR le tesi presentate, rinviando alla lettura diretta dell’articolo i lettori più interessati. Secondo il paradigma darwiniano, il gioco esclusivo di caso e necessità pone le condizioni sufficienti all’insorgenza di organismi sempre più complessi, dalle forme prebiotiche fino all’uomo. In altre parole, il motore dell’evoluzione di tutta la biosfera viene identificato, da ogni teoria evolutiva di ispirazione darwiniana, nella successione graduale di mutazioni genetiche casuali, i cui effetti fenotipici sono selezionati col criterio della sopravvivenza del più adatto (necessità).
Ora, l’evoluzione – intesa come speciazione asincrona di organismi a contenuto informativo (in termini di complessità) crescente – si può considerare un fatto scientificamente accertato dalla paleontologia. Ciò che appare insufficiente, alla luce delle evidenze scientifiche (empiriche e teoriche), è che sia esclusivamente il caso la causa prima dell’origine di tutte le forme biologiche esistenti, compreso l’uomo.
L’insufficienza esplicativa dell’approccio darwiniano appare particolarmente evidente nel problema della speciazione umana, e in particolare in quello che gli Autori definiscono “effetto Ramanujan”: vale a dire, nella constatazione che l’abilità matematica umana – intesa come prestazione biologica del cervello di H. Sapiens Sapiens – si è costituita fin dalle origini in una capacità sovradimensionata rispetto a ogni concepibile esigenza di adattamento selettivo (sebbene, naturalmente, è plausibile che un’algebra, una geometria e una meccanica primitive possano essere selezionate in modo adattativo in un ambiente di lotta per la sopravvivenza condiviso con altre specie viventi).
Tipicamente, la soluzione proposta dal darwinismo è quella di considerare la capacità astrattiva e matematica umana come un carattere gregario correlato ad un altro genuinamente adattativo (quale per esempio il bipedismo). Varie “just-so-story” darwiniane sono state proposte a tale proposito: se è evidente, però, che nessuna di esse può essere considerata una spiegazione storicamente valida (perché mancano dati oggettivi in grado di sostenere in modo definitivo una specifica versione), tanto meno trattasi di una spiegazione scientificamente valida (perché non è possibile indicare il meccanismo fisico responsabile della correlazione tra i due caratteri).
Nell’articolo pubblicato sugli “Atti della Fondazione Giorgio Ronchi” gli Autori dimostrano le seguenti proposizioni:
1) è estremamente improbabile che l’effetto Ramanujan (equivalente all’affermazione che la tecno-scienza umana ha dimostrato di saper descrivere con un grado di precisione crescente il funzionamento della realtà fisica) possa essere spiegato solo in termini di caso e necessità, cioè secondo lo schema darwiniano;
2) se, ciò nonostante, si vuole continuare a sostenere tale tesi, non sarà logicamente possibile affermare che l’uomo riuscirà prima o poi a comprendere tutta la realtà naturale senza fare ricorso alla metafisica;
3) poiché, tuttavia, in virtù dell’effetto Ramanujan esiste un’elevata probabilità che la realtà naturale sia governata nella sua interezza da una logica intrinseca e che tale logica comprenda le forme di astrazione proprie del pensiero umano, in tal caso la spiegazione darwiniana risulterebbe confutata;
4) né la congettura del multiverso – che non rientra nel canone scientifico – offre una via filosofica d’uscita al darwinismo, perché le due teorie si contraddicono reciprocamente.
In conclusione, Forastiere e Masiero dimostrano con l’effetto Ramanujan che è estremamente improbabile che il darwinismo possa spiegare l’origine di H. Sapiens Sapiens; e, se si crede che possa farlo, o risulta irrazionale credere che l’uomo potrà un giorno corroborare scientificamente il naturalismo, o si cade in un’insanabile contraddizione logica.