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Complesso è questo aroma che ha il caffè

Creato il 10 aprile 2014 da Davideciaccia @FailCaffe

Nell’ultima puntata di Report si parla di caffè con una piccola variazione sul tema del giornalismo d’inchiesta. Ce ne parla un’amica di Failcaffè, una che di caffè ne sa parecchio. Tra ragione e sentimento. 

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In Italia la gastronomia sta diventando un argomento sempre più centrale in diverse forme: nell’economia (le nuove aperture più attese del 2013 per esempio sono state quelle di Eataly), nell’intrattenimento (è facile notare, non sempre con piacere, che ogni rete televisiva ormai ha il suo programma di cucina, più o meno valido) e anche nel campo culturale (molti tra gli chef più premiati sono già in libreria con libri di ricette misti a biografie)

Nasce forse da questo l’attuale grande interesse del giornalismo d’inchiesta nei confronti di prodotti alimentari come olioacqua e mozzarella. Lunedì scorso, in una puntata di  Report, è toccato al caffè.

Se lo scopo del buon giornalismo d’inchiesta è quello di svelare e far conoscere, sviluppare il senso critico, approfondire, incrociare e verificare, allora i giornalisti di Milena Gabanelli hanno centrato il punto.

Non si è gridato allo scandalo e non sono strati distrutti certi miti. Sono stati rivelati gli interessi delle grandi aziende del caffè che pagano la ristrutturazione ma vendono miscele di qualità medio-bassa e sono state evidenziate le pessime abitudini dei baristi sulla manutenzione e sulla pulizia del loro strumento di lavoro.

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D’ora in avanti il consumatore attento e consapevole chiederà maggiori delucidazioni sulla percentuale di arabica e robusta del caffè che gli viene servito e osserverà con occhio più critico il barista che glielo prepara. Fino a qui, un ottimo risultato.

Il passo falso di Report (sono umani, ne fanno anche loro) è stata la degustazione degli “assaggiatori professionisti” che hanno usato frasi del tipo «Sentori di pan tostato, biscotto e cantuccino, ma [naturalmente] anche rancido e fango bagnato» oppure «Amaro estremamente negativo, quei sentori di paglia e legno marcio. Esce fuori tutto il rancido e un bel po’ di astringenza”.

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A parte il linguaggio un po’ ampolloso, queste “recensioni” sembrano più che altro delle sentenze senza alcuna possibilità di appello e senza alcuna sobrietà nell’argomentazione e  che sviano dal discorso principale, analizzato nella prima parte della puntata: la crisi qualitativa del caffè in commercio in Italia.

Ora, a quanto pare, non si può più bere del buon caffè. O almeno, è molto difficile trovarne di buona qualità.

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Da grande amante della caffeina e considerando che lo preparo per lavoro, a mio avviso, il caffè però non può essere solo un qui e ora e il giudizio sulla miscela e sul prodotto finito non si può basare su un solo assaggio. Conta la mano e la mente di chi lo prepara. Se è la fine di una bella giornata o l’inizio lento di un sabato che sarà faticoso. Conta anche a chi lo si sta preparando e se si conoscono già i suoi gusti. Lo stesso caffè nello stesso bar e preparato dalla stessa mano può essere avere un gusto, un aroma diverso in un primaverile lunedì pomeriggio o in un giovedì molto piovoso.

I caffè fanno parte di un vero e proprio rito terapeutico, che non solo necessita di tempo, cura e attenzione ma che è anche, come canta il Maestro Paolo Conte (che amo quanto il caffè), estremamente complesso.


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