“To serve detention” (in italiano: “scontare una punizione” – ma l’arcobaleno di significati evocato dall’originale è intraducibile) è una delle espressioni che si ritrovano più spesso, quando si parla di Hogwarts, nella serie di Harry Potter. Significa, come già accennato, pagare le conseguenze scolastiche per qualcosa che si è commesso; e, nel corso della storia, è sorte che tocca più che spesso (del resto: è proverbiale la loro visione, non ingiusta, ma certo spettinata delle regole) a Harry e ai suoi amici. E, proprio per questo tocca anche – ma in un sistema British è semplicemente ovvio – ai loro professori. Che si trovano, di volta in volta, tutti quanti (Snape, la McGonagall, Lupin, la Sprout, lo stesso Dumbledore), a trascorrere diverse ore di diversi pomeriggi insieme ai loro indisciplinati alunni: e sono molto spesso momenti – anche questo forse è superfluo ricordarlo – in cui si verificano notevoli e decisivi sviluppi della trama.
Tutto ciò è tornato in mente a più riprese alla ‘povna nella giornata di oggi: quella cioè stabilita – come da straordinario consiglio di classe – per far scontare la loro punizione atipica (rimanere a scuola al pomeriggio, per fare lavori ‘socialmente utili’) agli sbrindellati Merry Men.
La ‘povna, dopo le note vicende, si era svegliata stamani con un peso nella testa (perché l’idea di passare con Max Gazzè il suo tempo libero non le sorrideva neanche un po’). Ma c’è da dire che lo sceneggiatore, quando vuole, sa essere davvero saggio. E fin dalle prime ore dell’alba aveva mandato segnali, bizzarri, ma inequivocabili, sullo sviluppo successivo della trama.
Così, dopo un viaggio in treno a dire il vero assai tranquillo, la ‘povna era planata a scuola in mezzo a una nevicata fulminea e imprevista: varcato il portone di ingresso, il delirio, il caos, il guazzabuglio. Nessuno che sapesse cosa fare. Per fortuna a reggere le sorti della baracca ci aveva pensato il buon senso del vicepreside Esagono: “Ho guardato il sito della protezione civile e tre meteo diversi: adesso smette. Chi vuole, si fa venire a prendere, ma per tre fiocchi certo non faccio chiudere la scuola”. Così aveva sentenziato con il sorriso ironico, ricacciando per bene tutti in aula. Ma – c’è sempre chi se ne approfitta – questo non aveva impedito a Weber di fare il furbo (e di farsi venire inutilmente a prendere), seguito a ruota dall’emulo Sornione. Ma tutti gli altri Merry Men, va detto, erano restati coraggiosi al loro posto (compresi la Pesciolina e Piccolo Giovanni, che vengono da Castagnone). E anzi c’è da mettere con un doveroso elogio agli atti l’exploit (incredibile) del solito Soldino. Di fronte alla zia che, preoccupata, era venuta per portarlo a casa in sicurezza, lui infatti si è messo a urlare in corridoio, rifiutandosi di approfittare del permesso:
“Voi non capite, ma vi pare neve questa? Io sto bene a scuola e ora ci resto. E poi questo pomeriggio devo anche scontare punizione!”.
Di fronte a tanta consapevolezza, si è intenerito pure Esagono, che (sguardo significativo alla ‘povna da “ma perché sono sempre i tuoi, quelli che: lo famo strano e ancora non è abbastanza?!”) ha finito per accontentarne le richieste: “Come ti chiami? Soldino? Guarda, io ti tengo a scuola, così come chiedete tu e la tua professoressa. Ma, se nevica ancora, torni a piedi!”.
“Non c’è problema, grazie”. E quello se ne era tornato in aula con il suo sorriso storto.
E, alle due e quarto, eccoli schierati e pronti: “Squadra speciale anti-sudicio, eccoci professoressa. Nucleo addetto alla differenziata!”.
La ‘povna la fa breve, perché in certi casi troppe parole non servono. La verità è che, divisi in sorteggiati gruppi, si sono tutti (lei, la collega di Snape, Mafalda – e pure Max Gazzè che, va detto, pur sempre strano, non ha brontolato per nulla) divertiti un mucchio. E sotto lo sguardo benevolo della custode Linda hanno vuotato bidoni e razzolato tra vari tipi di monnezza:
“Prof., questo va nell’umido!”
“Prof., aspetti, chiediamo a Soldino [che è il loro grande esperto] se la cartina va messa in questo bidone o in quest’altro!”.
“Prof., vado prendere un altro sacchetto”.
“Prof., ma è bellina, questa attività, parecchio: la dovremmo proporre almeno una volta al mese!”.
Le parole finali sono di Piccolo Giovanni. E la ‘povna non solo le sottoscrive con convinta sicurezza (e una risata innamorata, più di sempre). Ma pensa anche che sono queste le risposte che fanno bene al cuore quando si cercano soluzioni empiriche per rianimare il sistema scuola, e provvedere ai suoi mal funzionamenti. E – lo dice piano, ma convinta – è questo che intende quando sostiene che non è la formazione, che manca, agli insegnanti, ma la volontà di dedicare alla didattica un tempo dalle modalità diverse (è una cosa che hanno discusso a lungo, con tante osservazioni belle e toste, in parte riassunte in questo scambio di commenti, con la collega di Snape). Un tempo che si dipani su una diversa consapevolezza dei ruoli, degli insegnanti e dei ragazzi; un tempo che ricordi a loro tutti che i professori stanno in cattedra non per un diritto divino o in nome di una gerarchia qualsivoglia; semplicemente, perché sanno delle cose, che dovrebbero passare alle generazioni giovani con appassionata costanza. Ed è solo per questo (che è tantissimo, ma nello stesso tempo è relativo come il mondo) che una democrazia che crede nella scuola pubblica decide – per un patto sociale condiviso e sottoscritto, ma che un insegnante deve meritarsi un po’ ogni giorno – di lasciare ai docenti, dentro il gruppo, il ruolo di conduttori.
Ma qui il discorso si fa lungo, e ripetitivo, e denso. E la ‘povna dunque la pianta lì, e la smette. Però – mentre torna a casa volando e cantando a squarciagola, come non le capitava ormai da un po’ di tempo – pensa che è questa la scuola che vorrebbe. In cui tutti si guardano allo specchio, come canta lui in questa canzone che non le esce dalla mente.
E, sì, fa ancora freddo. Ma la luce inizia a essere di nuovo di quella tonalità brillante. E sopra il ponte la primavera preme, frettolosa, contro il vento. E – la ‘povna se lo sente – tra poco arriverà. Col suo “bellissimo spreco di tempo”. Ancora, ancora, ancora.
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