Intanto: c’è il libro nel libro. Stella, la protagonista (si nota dal titolo), è una scrittrice. Siccome è di Stoccolma, è una scrittrice di gialli e noi leggiamo piano piano il suo nuovo giallo che nasce. Siccome il romanzo principale è una storia inventata (spero) Stella è anche la più grande, famosa, venduta scrittrice di gialli di tutta la Svezia, scrive un giallo all’anno e ne vende uno sfracello di copie. Da qui l’invidia e il disprezzo di chi invece scrive libri “veri” e da qui il rosicamento di Stella per l’invidia e il disprezzo di chi scrive libri veri. Vorrebbe essere amata e apprezzata da tutti, e invece… Chissà perché.
Forse perché dalle vendite viene lo sfracello di denaro che Stella (peraltro di buona e benestante famiglia) spende in appartamenti di 350 metri quadri, stivali italiani, caviale russo, golfini che costano mille mila corone, olio (sempre italiano), borse (di Bottega Veneta), foulard vintage anni Settanta (di Hermès), vestiti di Diane von Furstenberg e via così per tutto il libro?
Forse perché la puzza che sente nell’appartamento (con sviluppi notevoli riguardo alla trama, ricordatevelo) è pari a quella che ha sotto il naso quando vede qualcuno vestito male (brutta pezzente) o meglio di lei (argh, perché lei sì e io no)? Forse perché la puzza aumenta quando incontra la sua nuova redattrice (“bassa, rotondetta per non dire grassa, con i radi capelli biondo cenere appiccicati sulle guance pallide”) e la poverina la saluta e lei (Stella) si sente come se le avessero affidato un cagnolino che non desidera? Forse perché, quando la sua nuova redattrice le fa delle belle e sacrosante correzioni sui primi capitoli del suo nuovo libro, lei si incazza perché quella di prima era più accomodante? Forse perché quando va al maneggio per fare una cavalcata col suo cavallo di razza (eh, già, pure quello), tratta come una merdina la ragazzina che glielo lava, glielo spazzola, lo fa muovere, lo cavalca, gli dà le carote e gli tiene compagnia nei mesi e mesi in cui la nostra scrittrice si dimentica di avere un cavallo da cavalcare?
Eh, chi lo sa perché nessuno la ama.
Nessuno nessuno? Eh, no, qualcuno c’è: fustacchioni con sorpresa, aitanti idraulici da calendario, la sua editor (che in realtà non le fa da editor ma da cassa di risonanza di quanto è brava e bella) e… basta. Non mi viene in mente nessun altro.
In ogni modo, Stella si mette davanti allo specchio e sospira perché neppure la su’ mamma le vuole bene (ed è un po’ una puttanona, a dire la verità, la su’ mamma, nonostante i soldi e la casa di famiglia e il povero marito e i nipotini). Poi pensa che tanto lei è meglio di sua madre e pure di sua sorella, che si è sfondata a forza di fare figli e adesso è invidiosa perché Stella è bella e famosa, c’ha un appartamento di 350 metri quadri, con le piastrelle italiane e i fiocchi di latte nel frigo per cena. Peccato per la puzza (da ricordare, la puzza).
Insomma, il libro è tutto un avanti e ‘ndré tra: come sono brava e ricca e fortunata e piena di cocciuto talento, e: perché non mi amano, che noia le feste, che merde i giornalisti, che stronza la redattrice che mi corregge.
In mezzo, il nuovo libro da scrivere, con qualche capitolo che si alterna alla storia di Stella e ai momenti in cui sbatte la testa contro il muro perché non riesce a scriverlo; in mezzo, anche qualche raro lampo di consapevolezza: sarò mica una stronza io?, vuoi vedere che le altre persone non possono comprarsi un cavallo ogni due per tre?, vuoi vedere che una giacca a 2372,80 euro non è una cosa da comprarsi con leggerezza?; inoltre, a tratti, molti e frequenti lampi di disprezzo (che schifo di casa, quella di questo povero idraulico; che schifo di pelliccia finta, questa donna che mi rompe le palle davanti al portone; e così via); e anche un po’ di sesso qui e là (sia lei che la protagonista del suo romanzo).
Chiaro che ci si può confondere: per due o tre volte state leggendo le avventure dell’eroina-detective ottocentesca del romanzo di Stella, che si chiama Franciska, e improvvisamente si chiama Stella (è andato nel pallone il traduttore o la stessa autrice?). Oppure, che so, la Franciska di cui sopra controlla l’orologio della chiesa “alle venti e venti”, e aspetta un tizio che è sempre puntuale e passerà di lì alle “otto e mezzo” e infatti il tizio poi arriva “nello stesso istante in cui l’orologio della chiesa batteva la mezzanotte”. Ora, al di là del fatto che le “venti e venti” e le “otto e mezzo” non sono una variazione mia, ma del romanzo; a parte il fatto che si dice “otto e mezza”, mi viene da dire: alla faccia della puntualità. Pagine dopo vi trovate l’eroina Franciska che passeggia con l’eroe (forse) e voi li seguite sulla banchina di Skeppsbron, e notate gli scaricatori, il veliero che entra nel porto e poi: “anche se la conversazione era seria, Franciska non poté fare a meno di assaporare il tepore”, e allora tornate indietro perché, mannaggia a voi, avete saltato a piè pari la conversazione seria tra l’eroina e l’eroe e scoprite che, no, non avete saltato niente: di conversazione, manco l’ombra.
Poi rimane il fatto che nei primi capitoli Stella vi sfracella i maroni con la storia che quando non riesce a scrivere va a cavalcare, e quando arriva là se la prende con la ragazzetta che le cura il cavallo perché lei, in realtà, a cavalcare non va da mesi, e poi basta, spariscono tutti, ragazzetta e cavallo, e forse l’autrice se li è dimenticati, o forse pensa che ve li siate dimenticati voi (almeno il cavallo) e quattrocento pagine dopo vi informa che “Ogni tanto, quando scrivere diventava faticoso, faceva un giro al maneggio e poi tornava al lavoro”. Che poi è un po’ una balla, perché sono quattrocento pagine che Stella la mena che il libro non le riesce, che non scrive, che fa fatica, epperò del cavallo si ricorda a pagina 459.
D’altra parte, sparisce pure la redattrice-correttrice, che era un bel personaggino pieno di speranza (per noi e per la trama) e che improvvisamente, pùf, scom-pa-re. Mah.
Darei una stella, ma son pur sempre quasi cinquecento pagine che mi hanno fatto compagnia per qualche ora, e poi c’è anche un personaggio normale. Una stella in più per il povero giovane Johnny, va’.