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Come noi, "vecchia" classe docente, ingrigita di burocrazia e di burocratese, di compiti sempre più estranei al fare scuola, di delusioni per graduatorie che non scorrono mai e di speranze disattese. Io, 23° a Palermo nella A052, ex sissino, ex giovane insegnante motivato e meritevole con la corsia preferenziale per il cestino completo di registro e matita rossa e blè, con questi ritmi non entrerò mai di ruolo e il tempo passa, facendo di me un non giovane, dunque non meritevole di entrare in una classe da legittimo titolare. A 37 anni non sono né un punto di riferimento, né, tanto meno e a ragione, un giovane. A scuola ci sono stato da dieci anni in qua, ma che importa: non ho abbastanza esperienza slash non ho abbastanza motivazione e freschezza per fare il lavoro che sono stato autorizzato dalle stesse istituzioni a fare. E ora, megaconcorsone, quizzone uguale per tutti i docenti abituati a personalizzare programmazioni e contenuti, a badare alla crescita umana e culturale dei ragazzi. Ah, già, ho il dottorato, quindi sarò più bravo di altri, ma certo, perché il dottorato è una cosa seria in Italia e ha a che fare con la scuola, no? Tutti conoscono lo stretto legame tra scuola e università promosso dai governi passati, tra ricerca e didattica. Pinocchio sarebbe alquanto stupito di questa lotteria che ha come premio una vita intera a sQola, ma così è.
E a 37 anni, secondo loro, un uomo che passa la vita cercando di migliorarsi e di portare avanti un lavoro su sé stesso (sì, sé con l'accento, non risparmiamo, non ce n'è motivo valido); a 37 anni, dicevo, uno che ha ragionevolmente ascoltato coloro che gli dicevano "non disperdere le forze, concentrati su un obiettivo (che preferisco con una b)", uno che si riconvertirebbe volentieri ma non può voltarsi da nessuna parte senza vedere catastrofi, cosa volete che faccia oramai? Il paradosso è che un venticinquenne è ancora fluido (in Italia accade anche questo), un trentasettenne o più no. E si va avanti, sperando di vincere al concorso... che farò, certo che lo farò, ma senza studiare, andando lì con la mia "identità culturale", come dice una mia cara amica. Se studio è per i miei alunni, quelli veri, quelli che seguo. E mi forzo a non dire "per fortuna", perché devono essere i ragazzi a dire "per fortuna" o "purtroppo" di Italiano abbiamo il prof. Oddo. Non si può delegare per anni la nomina al caso e al tempo, puntando sull'esperienza come carta vincente, poi a corsi di aggiornamento fantoccio e delinquenziali, per venirsene fuori con un concorsone a premi: e chi lo perde? E chi non lo fa perché è incazzato nero e ne ha tutte le ragioni del mondo? Non perde un'opportunità, perché questa non è un'opportunità, è il festival dell'arbitrario, dei proclami, delle false aspettative. Io lo farò perché non sono libero di scegliere e non ne sono affatto contento, non posso essere soddisfatto di pagare il pizzo per la speranza.
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