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Conferenza delle parti sul cambiamento climatico: cop21

Creato il 23 ottobre 2015 da Postik @postikitalia

Qualcuno ha mai sentito parlare della conferenza delle parti sul cambiamento climatico? Scommetto che non molti sanno cosa sia. Eppure, il meeting che si terrà a Parigi dal 30 novembre al 11 dicembre è una delle più importanti occasioni di negoziato politico a livello internazionale.

Si chiama COP 21 perché ne hanno fatti altri 20 di questi incontri.

I governi di quasi tutte le nazioni al mondo cominciarono ad incontrarsi nel 1992 a Rio de Janeiro per discutere delle azioni da intraprendere per affrontare e, possibilmente, risolvere i problemi derivanti dai cambiamenti climatici. Da allora, si sono incontrati quasi ogni anno. Risultati: azioni intraprese dai singoli stati indipendentemente – poche (per lo più sono gli stati europei a darsi degli obiettivi); decisioni vincolanti prese – zero.

Ogni anno, chi segue i negoziati si sente dire che i governi sono prossimi ad un accordo vincolante. Alla fine del meeting, però, si arriva puntualmente ad un nulla di fatto. Nel frattempo, le attività antropiche continuano a basarsi sui combustili fossili come fonte energetica primaria; di conseguenza, i gas ad effetto serra continuano ad aumentare in atmosfera e la temperatura media della superficie terrestre è fatalmente destinata a crescere, con conseguenze teoricamente devastanti (aumento della desertificazione; aumento dei fenomeni metereologici estremi quali trombe d’aria, tornado, uragani; innalzamento del livello dei mari, con perdita di zone costiere; perdita della biodiversità e alterazione dell’equilibrio degli ecosistemi, inclusi quelli agricoli, quindi danni gravissimi all’agricoltura e riduzione della produzione di cibo a livello globale, etc…).

Al tavolo dei negoziati, da un lato ci sono le nazioni che emettono maggiori quantità di gas-serra: quelle più ricche (quali Stati Uniti ed Australia), che non intendono rinunciare al loro elevatissimo tenore di vita, e quelle in via di sviluppo (quali Cina, Brasile e India) che non vogliono rinunciare a seguire lo stesso tipo di sviluppo percorso dai paesi ricchi negli scorsi decenni. Dall’altro le nazioni più virtuose (principalmente quelle della comunità europea) che emettono relativamente basse quantità di gas-serra pro-capite, e che hanno, almeno nelle intenzioni, importanti obiettivi di riduzione delle emissioni attraverso il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

A Parigi, i leader di ogni paese si siederanno al tavolo dei negoziati con delle proposte e delle richieste. Riusciranno questa volta a raggiungere un accordo vincolante? Le nazioni europee, per esempio, parlano di 20/20, cioé riduzione delle emissionidel 20 % entro il 2020, 30/30, 40/40 e così via. Secondo gli scienziati, un possibile obiettivo potrebbe essere quello di mantenere l’aumento della temperature media globale al di sotto dei 2 °C. Sembra però abbastanza sicuro che, a meno di drastici cambi di rotta, questo obiettivo è praticamente irraggiungibile.

Se è vero che sta crescendo nell’opinione pubblica la consapevolezza che le conseguenze dei cambiamenti climatici ricadranno (come al solito!) maggiormente sui paesi meno sviluppati e sulle fasce meno ricche della popolazione mondiale, è anche vero che misure drastiche di riduzione delle emissioni richiedono cambiamenti epocali nello stile di vita e ci sono forti resistenze al cambiamento. Queste derivano sia dai potentati del petrolio, sia dalle fasce intermedie della popolazione mondiale.

Per sconfiggere queste resistenze, i paesi non possono operare singolarmente. Per andare a buon fine, COP21 deve produrre un documento che vincoli tutti i paesi a seguire degli obiettivi comuni di riduzione delle emissioni. Se i paesi decidessero di operare singolarmente, non scatterebbe nessun meccanismo di collaborazione. Anche se, sul lungo periodo, ciascun paese avrebbe un beneficio economico conseguente al taglio delle emissioni, è probabile che la maggiorparte delle nazioni deciderebbe di non operare alcuna riduzione.

Al contrario, una strategia basata sull’impegno comune stimolerebbe i paesi a collaborare, secondo una logica di cooperazione internazionale.

Alcuni scienziati hanno suggerito che imporre dei limiti alle emissioni nazionali non funzionerebbe, come già dimostrato dal Protocollo di Kyoto stilato nel 1996. In quella circostanza, furono suggerite percentuali di riduzione delle emissioni diverse da paese a paese. Questa disparità causò il ritiro degli Stati Uniti e dei paesi in via di sviluppo. I paesi in via di sviluppo temono limiti alla loro crescita economica, mentre i paesi ricchi non accettano dei meccanismi che trasferirebbero enormi ricchezze ai paesi poveri.

Recentemente, alcuni economisti hanno proposto un meccanismo alternativo basato sulla creazione di un mercato globale del prezzo del carbonio. Secondo questo meccanismo, ciascun paese si dovrebbe impegnare a imporre un costo alle emissioni di carbonio dai combustibili fossili (tramite la creazione di tasse, per esempio) atto a determinare un prezzo globale, che potrebbe essere deciso per votazione a maggioranza dai paesi partecipanti a COP21.

I negoziati sono in realtà già cominciati e la settimana scorsa a Rabat (Marocco) i politici europei si sono incontrati con esperti di emissioni per preparare la conferenza di Parigi. Nel frattempo, gli scienziati continuano a lanciare messaggi ai politici. A novembre, io parteciperò ad una conferenza a Roma nella quale si incontreranno scienziati e politici per parlare del problema dei cambiamenti climatici e stilare un documento da inviare ai paesi partecipanti a COP21. Questo dovrebbe spingere i politici a prendere decisioni significative al tavolo dei negoziati. Voi credete che stavolta si arriverà ad un accordo vincolante?

Conferenza delle parti sul cambiamento climatico cop21

Vignetta di mario airaghi.

http://www.marioairaghi-neurodeficiente.blogspot.it/


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