Possiamo dire che siamo davanti ad un kolossal, e la regista Deepa Mehta grazie alla sua regia sostenuta da David Hamilton marito e produttore dei suoi film, che siamo lieti di avere qui con noi, il cinema indiano ha maturato direzioni diverse rispetto a quelle abituali. Il romanzo di Salman Ruschdie “I figli della mezzanotte” è forse uno tra i migliori romanzi letterari moderni, che rappresenta anche una sfida nella trasposizione cinematografia, come nasce in particolar modo questa collaborazione tra Deepa Mehta e Salman Rushdie?
Deepa Mehta – In realtà io e Rushdie ci conosciamo da circa 7-8 anni e ormai siamo amici e abbiamo sempre parlato della possibilità di collaborare e lavorare insieme per un film. Io gli chiesi quale romanzo avrebbe preferito in un film, e lui mi rispose: “I figli della mezzanotte” – poi istintivamente gli ho chiesto “chi detiene i diritti d’autore? – ” E’ lui mi ha risposto – “Vai pure” – ed è partita così.
David Hamilton – Quella sera ero fuori città, e quando sono tornato Deepa mi ha detto – “realizzeremo il film I figli della mezzanotte” , ho riletto il romanzo di Rushdie, e devo dire che ho riscontrato una notevole complessità per la lunghezza considerevole e per le fasi di realizzazione, un attimo di costernazione, poi mi sono ripreso ottenendo la collaborazione di Rushdie.
Come nasce l’idea di un legame magico e telepatico tra i ragazzi nati allo scoccare della mezzanotte, nel giorno dell’indipendenza dell’india, trae origini da una storia vera o un racconto leggendario?
Deepa Mehta – Non c’è assolutamente una storia vera dietro il romanzo, non c’entrano i poteri magici all’interno del film, io ho avuto modo di chiederlo a Rushdie su che cosa intendesse dire attraverso i ragazzi, e lui mi ha risposto che dovevano rappresentare una metafora, una speranza per l’India, io non volevo che in realtà uscisse fuori un film come X Men o Harry Potter, e allora pensai come esempio a “Ugetsu Monogatari – I racconti della luna pallida” di Kenji Mizoguchi, mi piaceva realizzare qualcosa di simile, poi Rushdie ha pensato a questi ragazzi e il modo in cui entravano in contatto.
Sul rapporto con Rushdie possiamo dire qualcosa in più? Andate ancora a cena insieme?
Deepa Mehta – In realtà andiamo ancora a cena insieme, c’è un ottimo rapporto d’amicizia e collaborazione, senza litigare o strillare, se c’era qualcosa su cui non andavamo d’accordo ne parlavamo, io volevo che lui scrivesse la sceneggiatura, ma non c’è stato un accordo iniziale, Rushdie mi disse ci vediamo alla prima, ma pensavo che era l’unica persona che poteva farlo, e volevo che fosse coinvolto, poi ha accettato, si decideva insieme su tutto, io gli dicevo, “che ne dici se lasciamo fuori questo personaggio?” Lui mi rispondeva “OK” e così siamo andati avanti, non sono andata alla cieca sapevo che aveva già avuto esperienza nella scrittura di sceneggiature e quindi mi sono affidata a lui.
Considerando le controversie che in passato lei ha avuto con il suo paese, come è stato accolto il film in india?
Deepa Mehta – Io ho avuto dei momenti molto difficili nei rapporti con l’India, in particolar modo con il governo indiano, durante la realizzazione di “Water”, il governo indiano aveva bloccato la produzione, ma ormai sono trascorsi 5 anni, e da allora non ho avuto più problemi e difficoltà. Il film “I figli della mezzanotte” è stato accolto bene in india, è molto amato, temevamo un ulteriore censura del paese su come avevamo trattato Indira Gandhi, ma in realtà e per nostra fortuna in governo indiano ha ritenuto che il film andava accolto così com’era.
Siamo davanti ad un Kolossal con molte storie raccontate, complesso nel suo insieme, noi l’abbiamo conosciuta in Italia attraverso la sua trilogia “Harth, Fire e Water”. Oggi si ritiene pronta nell’affrontare questo suo nuovo modo di girare un film?
Deepa Mehta – in realtà io ritengo che ogni film debba essere affrontato attraverso le sfide che si propongono, piccole o grandi che siano, anzi a volte un film più piccolo può risultare molto più complesso, noi abbiamo fatto esperienza in passato. per Quanto riguarda il film “I figli della mezzanotte” c’è un giovane Saleem che cerca una famiglia, una casa, io questo suo pensiero lo accolgo come un manthra attraverso vicende che portano poi alla costituzione dell’India.
Quanti linguaggi diversi sono stati utilizzati in riguardo al recitato?
Deepa Mehta – La maggior parte del film è parlato in inglese, poi in misura ridotta Kashmiri, Bengalese, Urdu e Pakistan.
Il film uscirà in Pakistan?
Deepa Mehta – Ne dubito, non credo che in Pakistan esista ancora un industria del cinema, ma sicuramente avrà una diffusione in DVD.
Che distribuzione avrà il film in India?
Deepa Mehta – Uscirà in circa 150 sale, è considerevole per un film indipendente e non legato all’industria indiana, il nostro non è un film Bolliwoodiano dove prevalgono canti e danze.
La presenza nella cinematografia di donne alla guida della regia, è sempre più frequente, che ne pensa?
Deepa Mehta – sono d’accordo, credo che sia fantastico, e che sia una grande cosa.
Quali sono stati i costi per la realizzazione del film?
David Hamilton – Il film è costato 10,7 milioni di $ cosa che sarebbe risultata assolutamente impossibile girarlo in qualsiasi altra parte del mondo che non sia lo Sri Lanka, li è stato possibile trovare le location, che ricostruivano scenari degli anni 20’ e 70’, cosa che non potevamo fare in India ormai piena di grattacieli.
Come si sono svolte le diverse fasi riguardanti la scrittura?
Deepa Mehta – Io e Rushdie abbiamo preso una decisione prima di scrivere la sceneggiatura, in fase di stesura, io sono ritornata a Toronto in Canada, Rushdie a New York, abbiamo buttato giù alcuni punti in modo stringato, poi ci siamo rivisti, e ci siamo accorti che eravamo d’accordo su tutti i punti. In fase di ripresa Rushdie non era presente ed io ho dovuto aggiungere alcune scene.
Ci racconti la presenza di religioni diverse nel film.
Deepa Mehta – Io credo che attualmente in India non ci sono differenze enormi tra ricchi e poveri, ma questo avviene anche attraverso le religioni, dove possiamo ritrovarle tutte, notiamo che l’infermiera Mary è cattolica, Saleem è islamico con radici britanniche, altri protagonisti sono induisti, quindi abbiamo un insieme di tutti questi aspetti religiosi.
Prima di salutarci, che progetti ha per il prossimo futuro? Qualche anticipazione.
Deepa Mehta – un lungo sonno.
di Antonio Gentile