Anno: 2010
Nazionalità: Giappone
Durata: 106’
Distribuzione: Tucker Film
Genere: Noir
Regia: Nakashima Tetsuya
Uscita: 9 Maggio 2013
«Intrecciamo, orsù, la danza;
per noi è dolce esplodere
in canto d’orrore, (…)
Giusti giudici crediamo d’essere,
il nostro odio non assale
chi protende mani pure:
quegli attraversa la vita senza dolori.
Ma chi, reo come quest’uomo,
nasconde mani grondanti di sangue,
testimoni veritiere a sostegno dei morti
gli appariamo,
per esigere fino al fondo il prezzo dovuto del sangue.»
Le Eumenidi – Eschilo
Nel pantheon dell’antica Grecia, le Erinni erano le dee della maledizione punitrice: perseguitavano il colpevole fino all’espiazione del delitto commesso.
Rosso è il colore della vendetta, fredda la sua atmosfera e lento il tempo del suo compimento.
Ispirato all’omonimo romanzo di Minato Kanae, premiato al Far East Film Festival con il Black Dragon Audience Award 2011, Confessions è una sintesi matematica di atavico e ipermoderno che fa gelare il sangue nelle vene e sprigiona la potenza della tragedia greca.
I tredicenni svogliati raccontati da Nakashima Tetsuya sembrano lontani da noi più della distanza che separa la poltrona dallo schermo, imprigionati come sono dietro una lastra trasparente, dentro un rettangolo dai confini impercettibili alla vista ma raggelanti. Marionette animate in un acquario vuoto, sembrano liberi e onnipotenti, ma non hanno scampo. Moriguchi (Matsu Takako), la loro insegnante, ha deciso di lasciare il suo lavoro per vendicarsi di coloro che le hanno distrutto la vita. E noi, inchiodati alle poltrone, siamo resi spettatori indiretti di qualcuno che agisce e contempla nello stesso tempo.
In Confessions non tutto viene raccontato, molto viene evocato attraverso delle immagini tratte, almeno in parte, dall’inconfondibile repertorio del regista giapponese. Sono, per esempio, gli stessi cieli di Kamikaze Girls(2004), più scuri, ma identici segnali di un ordine metafisico che regola il mondo dei personaggi.
Nakashima Tetsuya padroneggia con la naturalezza del genio il linguaggio cinematografico, restringe e dilata le maglie del tempo della storia, rallenta quando serve il susseguirsi dei fotogrammi e rende possibile a quel punto cogliere il peso dei micromovimenti degli elementi naturali sull’atmosfera e di tutte quelle azioni impercettibili a occhio nudo. Traccia una distinzione tra il mondo interno e il mondo esterno ai personaggi, tra le azioni plateali e i moventi privati, tra ciò che appare e ciò che è, mettendo in risalto le contraddizioni della cultura giapponese sulle note di una colonna sonora struggente (una canzone per tutte: Little Flowers dei Radiohead) e dentro una fotografia da Oscar.
Manuela Materdomini