Magazine Diario personale
(Foto di Matthew Cox )
Taluni sostengono di vedere l'aldilà, o, per circoscrivere questo "di là", ammettono di vedere coloro i quali galleggiano nel vuoto privo di connotati fisici, situato fra il "qui" ed il "là". E' una stazione del nostro cammino, pare, nella quale si indugia per un tempo variabile. Financo per l'eternità, in certi casi. Il tempo al quale alludo è terreno, non confondiamoci, dobbiamo tradurre in termini intelleggibili delle zone a-spaziali e a-temporali, come la nota stanza di Swedemborg, dalla quale - ritengo - si possa ancora agire sulle leggi fisiche: un classico è giocare con l'interruttore della luce. Francamente, non vorrei apparire impertinente, ma non provo invidia verso questi veggenti; troppi sono i dubbi che mi instillano. Premetto che, non vivendo tali incontri, non ho dimestichezza con questi spiriti galleggianti, per cui non ne conosco i tratti salienti. Intendo dire: l'essere vivente ha delle caratteristiche, dei fattori componenti. Suddividendolo in "macro ingredienti", azzarderei l'ardire di considerare il carattere come uno di questi, unitamente alle carni, alle forze naturali ed all'Anima. Ciò non è da poco, seppur vago: una entità qualsiasi che s'approcci al nostro mondo, per capirci, dovrebbe tenere conto che i rapporti sarebbero influenzati e direzionati - inevitabilmente - dal fattore caratteriale. Ora, mi domando: queste realtà a me invisibili (ma non invise) mantengono i tratti caratteriali? Io temo di si. Forse gli eccessi sono stemperati, rotto il legame alle cose terrene. Non c'è motivo per prendersela, insomma, tuttavia nascono sospetti osservando quelle terre bergmaniane, nelle quali la separazione fra il "qui" e dil "là" è sottilissima, ragion per cui i defunti passeggiano nel loro salotto terreno, addensandosi improvvisamente agli occhi dei vivi e, nelle situazioni più paradossali, una volta trapassati e pur rimenendo in quello stato, parlano coi parenti (senza che questi mostrino sbigottimento) per dare disposizioni, dirimere antiche questioni e addolcire storiche tensioni, per poi, senza fare un plissé, adagiarsi comodi e cheti nel feretro e finire riposti dove occhi non giungono e, nuovamente incoerenti, si palesano dopo agli occhi dei figli, fumando la pipa in biblioteca, spaparanzati sulla poltrona. Il tema è il paradosso, ciò che la logica sensibile proibisce: il morto che appare, il defunto che parla. In "Fanny e Alexander", addirittura, spunta la mummia nell'incredibile ripostiglio in cui vive Ismael, la quale, a contatto con la luce, si volge verso di essa e respira. In questa atmosfera stridente, invero, il senso degli avvenimenti è chiaro: il fil rouge è il passato. Che questi errabondi non riescano a liberarsene?
Ragion per cui, se il legame è (gioco-forza) il passato, nell'atto del manifestarsi ai vivi, il trapassato indossa temporaneamente i suoi vecchi abiti caratteriali? Questo non posso saperlo, ahimè, ma ritengo che prestando un poco di attenzione alle dinamiche della dipartita degli uomini, ed agli istanti subito successivi, scorgeremmo talvolta un rapporto di simpatia fra gli elementi in gioco; segno che il defunto stazionerà nella zona di confine.
L'ammiraglio Nelson, per esempio, fulminato da un francese fortunato, che lo beccò da nave a nave, venne immerso in un barile di Brandy, per conservarlo fino al patrio suolo. Io scommetto che qualcuno, in seguito, lo vide e ci parlò Magari, estraendolo dal barile, lui si lamentò della qualità del Brandy e, ironicamente, osservò che, morto per morto, almeno non finì conservato nel cognac (ancora non sapeva di finire in una cassa di legno francese, il che dimostra che questi signori non vedono il futuro).
Ecco: io tutta questa confusione fra vita e morte, un poco la temo. Incrina la più certa delle certezze. Ci vedremo a suo tempo, non ora. Share
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