Devo ammetterlo, sono un po’ confuso. Confuso, ma in viaggio lungo una nuova strada. Che sia merito delle letture di questi ultimi tempi? O più semplicemente la dimostrazione pratica della teoria dell’elaborazione del lutto della solita Elisabeth Kübler Ross? Se così fosse, non ne sarei tanto felice.
Possibile che l’essere umano sia così facilmente prevedibile? Davvero i nostri sentimenti sono solo messaggi chimici fra neuroni? E il libero arbitrio? Come posso essere sicuro che i miei processi mentali siano solo miei e non il frutto di un riflesso condizionato come in un cane di Ivan Pavlov?
Non so quindi se la serenità che vado inseguendo sia il frutto di un processo comune, automatico e inevitabile, simile a quello di qualsiasi altro essere umano, oppure una scelta solo mia, una decisione ponderata e cosciente, una strada che ho scelto di imboccare volontariamente.
Ma perché allora porsi una domanda simile se il risultato rimane pur sempre il raggiungimento della tranquillità?
È molto semplice: non voglio una serenità e una tranquillità imposte dal mio inconscio, non voglio seguire la strada che chiunque - povero o ricco, colto o ignorante, sensibile o rozzo - raggiungerebbe comunque, prima o poi, volente o nolente. Così non ci sto, non accetto di essere solo un pupazzetto voodoo in mano al mio inconscio, non voglio essere un robot a cui basta girare una chiavetta chimica o psicologica per farlo muovere. Neppure quando l’orologiaio è il mio stesso sé.