Luigi Baldacci
Questo mi separava dal mio amico Luigi Baldacci: l’idea che la narrativa viva di stati tiepidi: «a volte i narratori dovrebbero essere più ‘crociani’: pensare cioè che il mondo di uno scrittore è una cosa che c’è, sì, ma che non si vede da vicino. Essi credono invece alla teoria del “tutto è in tutto”, e che uno scrittore vero debba sempre esser riconosciuto dall’unghia: la pagina, il rigo, la parola» (L. Baldacci, Ricette per il romanzo, in Id., Libretti e altri saggi, Firenze, Vallecchi, 1974, p. 15).
«La parola? Di più: la sillaba — replicavo con un sorriso di sfida —, il fonema, la virgola! Non ho bisogno che la narrativa simuli la vita e riproduca la realtà. Io esigo costruzione, sintassi, musica. Artificio».