Buondi’ a tutti.
Oggi parliamo di uno dei piu’ inquietanti “misteri italiani” mai risolti. Ammetto di esserne venuta a conoscenza solo oggi (dove ero allora?) ma ho creduto opportuno spargere comunque la voce per tenere alta l’attenzione su quello che e’ stato definito “un sequestro di Stato”, un fatto gravissimo e inaccettabile, come tanti purtroppo nel nostro “bel paese”. Spero e mi auguro di cuore che i familiari di Davide Cervia prima o poi siano messi in grado di riabbracciare il loro caro…
Sequestri, segreti e depistaggi: il giallo del sergente scomparso
(da: Il Corriere della Sera, 30 ottobre 2011)
Del sottoufficiale della Marina, Davide Cervia, esperto di «guerre elettroniche», non si hanno notizie dal 1990: potrebbe essere stato rapito per le sue conoscenze tenciche e militari
Aveva cominciato Marisa, la moglie, adesso tocca a Erika sostenere una storia enorme di segreti e depistaggi. Una vicenda che inizia con il rapimento, ventuno anni fa, davanti al cancello di casa a Velletri, dell’ex sergente della Marina Davide Cervia, esperto di «guerre elettroniche», suo padre. «Io e mio fratello Daniele — dice — adesso abbiamo l’età per potercene occupare, per attirare l’attenzione dopo tanti anni di silenzio».
LA LETTERA — Lo fanno con una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Pretendiamo una risposta concreta… affinché si faccia finalmente luce su questo agghiacciante mistero di Stato». Un intrigo che dalle porte di Roma conduce al Sud del Mediterraneo, oppure al Medio Oriente, o ancora più a Est, apre scenari di guerra, rende quasi impossibile districarsi tra prove e bugie. La battaglia di una famiglia della provincia italiana alle prese con un «nemico» molto più grande e con un vuoto personale da affrontare. Erika aveva sei anni quando, il 12 settembre 1990, il padre non rientrò a casa. «Rimani segnato, e anche dopo — per quanto fossi solo una bambina — ricordo personalmente pedinamenti, telefonate mute, minacce».
I DOCUMENTI — La magistratura conferma la tesi del «sequestro a opera di ignoti» ma nel 2000 archivia per l’impossibilità di rintracciare i responsabili. Il caso resta un’inchiesta privata. Di documenti la famiglia ne ha raccolti a migliaia. Lo stesso Sismi in una relazione «riservatissima» ammette che l’indagine si fonda su «materiale di parte» e — incredibilmente — non aggiunge nulla di più. Erika e Daniele fanno il punto su carte e registrazioni, e ogni tassello si lega a un’inadempienza degli inquirenti o a un tentativo palese di insabbiamento.
I DEPISTAGGI — Un testimone, un vicino di casa, vede Davide malmenato e spinto a forza in un’auto verde scuro. Un altro, l’autista di un autobus, incrocia la vettura verde seguita dalla Golf di Cervia guidata da un biondino. Entrambi vengono a lungo ignorati. La Marina fornisce nel tempo cinque fogli matricolari (curriculum professionali dei militari) diversi e solo nell’ultimo — ottenuto dopo nove ore di occupazione dei familiari al ministero della Difesa — compare la sigla GE, «guerre elettroniche».
LE TRACCE — Quattro mesi dopo la scomparsa, il nome di Davide Cervia compare tra i passeggeri di un volo Air France Parigi-Il Cairo, biglietto acquistato dal ministero degli Esteri francese. Sette anni dopo nella casa di Velletri, verso mezzanotte, arriva una telefonata strana: quando Marisa alza la cornetta sente la voce del marito che parla di lavoro. Lo chiama ripetutamente, finché si rende conto che è una registrazione.
GLI INSABBIAMENTI — Molte lettere anonime in questi anni alla famiglia. Qualcuna tracciava ipotesi più o meno fantasiose, qualcun’altra, più frequente, intimava il silenzio. Un anno dopo il rapimento, subito dopo il ritrovamento della Golf di Cervia, vicino alla stazione Centrale a Roma, in perfette condizioni, con l’autoradio inserita e i fiori raccolti per la moglie ancora sul sedile posteriore, alla famiglia qualcuno offre un miliardo di lire per tacere e abbandonare il caso. «Io e mia madre non vogliamo ancora dire chi, prima vogliamo la garanzia che lo Stato sia disposto a tutelarci».
LE IPOTESI — Chi c’è allora dietro la scomparsa di Davide Cervia? Le risposte, come in ogni mistero, sono tante. Il tecnico può essere stato sequestrato da un «cliente» interessato alla sua specializzazione nel campo della guerra elettronica. Si è parlato di Iraq, Libia, Iran, Arabia Saudita, Stati che avevano acquistato navi e materiali bellici in Italia e che forse avevano bisogno di esperti. E’ l’ipotesi a cui più crede la famiglia. E anche le autorità italiane ad un certo punto hanno indicato una pista libica. Oppure c’è un Paese più importante: una traccia porta alla Russia e al giallo di un sistema sofisticato «rubato» dal Kgb nell’89 (ci furono anche due arresti). E’ possibile che l’Italia abbia venduto tecnologia a uno «Stato canaglia» e questo lo abbia poi girato ai russi? Cervia potrebbe essere venuto a conoscenza di qualcosa di inconfessabile. Qualcosa di molto imbarazzante. Qualcosa di così serio da essere risolto in modo drastico facendo sparire l’italiano. E una volta eseguita la missione sono poi partiti i depistaggi con le mille segnalazioni e i testimoni poco attendibili. Infine l’ultima carta, quella del denaro. Dopo la scomparsa le autorità hanno cercato di accreditare la tesi dell’allontanamento volontario di Cervia. Ma allora perché l’offerta di un miliardo di lire? E’ chiaro. Non solo si voleva soffocare la verità, ma anche far dimenticare una storia dalle implicazioni gravi.
Davide Cervia, i figli chiedono danni allo Stato “per violazione del diritto alla verità”
(da: Il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2012)
Del marinaio, tecnico specializzato, non si sa più nulla da 22 anni. L’ipotesi è che sia stato spedito Libia, come supporto ai nostri sistemi di armamento, dopo essere stato prelevato davanti alla sua casa di Velletri (Roma). Lo scorso anno Erika e Daniele Cervia avevano scritto un appello al presidente Giorgio Napolitano
Ventidue anni di giustizia mancata. Un tempo infinito, insopportabile, reso ancora più pesante dai tanti dubbi che hanno accompagnato dieci anni d’inchiesta sulla scomparsa di Davide Cervia, tecnico di “guerra elettronica” rapito il 12 settembre del 1990, lasciando due figli e la moglie Marisa. Spedito, molto probabilmente, in Libia, come supporto ai nostri sistemi di armamento, dopo essere stato prelevato davanti alla sua casa di Velletri, a quaranta chilometri da Roma. Un caso che si sta riaprendo in questi mesi grazie alla testardaggine della famiglia, pronta a chiedere il risarcimento allo Stato, ritenuto incapace di arrivare ad una verità.
I figli di Davide Cervia, Erika e Daniele – due ventenni ostinati e testardi – hanno citato in giudizio, insieme alla madre Marisa, i ministeri della Difesa e della Giustizia davanti al Tribunale civile di Roma, chiedendo i danni “per la violazione di ciò che può definirsi il diritto alIa verità”. Ai due dicasteri coinvolti, in modo diverso, nel caso la famiglia chiede dunque conto di “quell’insieme di negligenze e depistaggi che hanno accompagnato I’indagine fin dal primo giorno, come riconosciuto dalla stessa Corte di appello”; parole dure, che accompagnano la nota firmata da Alfredo Galasso, già avvocato di parte civile dei famigliari delle vittime di Ustica, autore della citazione in giudizio insieme all’avvocato Licia D’Amico.
Lo scorso anno Erika e Daniele Cervia avevano scritto un appello al presidente Giorgio Napolitano, ma la lettera di risposta – giunta diversi mesi dopo e firmata dall’allora direttore dell’ufficio per gli affari dell’amministrazione della giustizia Loris D’Ambrosio – non ha nemmeno intaccato il muro di omissis: è un sequestro di persona, ammetteva il consigliere della presidenza, i magistrati non hanno mai identificato gli autori, ora non vi rimane che la giustizia civile. Lo Stato, in altre parole, si è tirato indietro ancora una volta.
Il processo si aprirà il 7 dicembre prossimo con un contorno di domande rimaste inevase dopo l’archiviazione del caso arrivata nel 2000: perché la Marina militare fornì dei fogli matricolari falsi, nascondendo la vera specializzazione di Davide? Perché nessuno ha seriamente seguito i tanti indizi che portavano alla Libia di Gheddafi? E, soprattutto, perché per otto anni la Procura di Velletri indagò con “inerzia” – come scrive la Procura Generale di Roma, giustificando il tutto con “la carenza d’organico” – senza mai realmente credere al rapimento, quando due testimoni oculari avevano ricostruito nei dettagli quei momenti concitati del pomeriggio del 12 settembre 1990? E ancora: in base a quali elementi il Sismi scrisse, in una nota rimasta nei fascicoli, che il rapimento era opera di “società o organizzazioni verosimilmente straniere, per interessi commerciali e militari legati alla sua competenza professionale”?
Il profilo di Davide Cervia, come appare dai vari fogli matricolari forniti ai magistrati e alla famiglia, era quello di un tecnico altamente specializzato, un obiettivo importante per i tanti stati del medio oriente interessati ai sistemi di difesa Nato. Inizialmente la Marina militare aveva occultato queste specializzazioni, sostenendo che in fondo Davide era poco più di un marinaio. Fu a quel punto che la famiglia decise, il 12 settembre del 1994, di occupare per una decina di ore le stanze del ministero della Difesa, allora diretto da Cesare Previti, ottenendo, dopo un paio di giorni, il foglio matricolare completo: “sottufficiale di ottime qualità”, “preparazione professionale di rilievo” e, in rilievo, la qualifica di “ETE/GE”, ovvero esperto in guerre elettroniche. Solo nel 1998 la Procura generale di Roma – dopo l’avvocazione del caso – ottenne dal Sismi le note informative, che ipotizzavano il rapimento da parte di stati mediorientali e nordafricani. Per il Sios, i servizi segreti della Marina militare, il caso era in sostanza irrilevante: “i responsabili non ritennero l’episodio più di pertinenza di quell’ufficio”, si legge nella richiesta di archiviazione del fascicolo del 1999.
Approfondimenti
Audio della conferenza stampa per la presentazione del libro di Valentino Maimone “A.A.A. Vendesi esperto di guerre elettroniche. Storia di Davide Cervia, vittima del traffico d’armi “tutto compreso”. Vi hanno preso parte oltre all’autore, la moglie di Davide Cervia, il sindaco del Comune di Velletri Fausto Servadio, il giornalista Gianluca Cicinelli (Fonte: Radio Radicale)