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Conquistare il lettore: quale strategia adotti?

Da Marcofre

conquistare il lettore

Non sono in grado di scandalizzare i lettori, mi spiace. E poi nemmeno mi interessa. C’è da dire che per certe persone, parlare della realtà senza volerla correggere, è sinonimo di oscurantismo e via discorrendo. Per costoro, tutto è da correggere, ed essi sanno come fare. Io per fortuna non so niente.

Provo a raccontare storie, e se a qualcuno non sembra un obiettivo abbastanza ambizioso, andrà a leggere qualche cosa di differente.

Uno dei racconti che saranno nella prossima raccolta, aveva un inizio un po’ particolare. Niente di eccezionale, a mio parere pure banale. Però era il primo, e c’era la descrizione di questo risveglio di una madre e di sua figlia (affetta da un grave deficit cerebrale). E di quello che la madre deve fare al mattino in bagno. Tutta roba fisiologica quindi, ma niente di che.

Però l’ho spostato alla fine della raccolta.

Mi sono messo nei panni del lettore, che potrebbe essere urtato da un impatto del genere. Niente di straordinario, ripeto; anzi per molti sarà motivo di risate.

Però mi sono anche domandato se questo inizio non rischiasse di allontanare un potenziale lettore. In fondo non ci conosciamo: perché irritarlo o turbarlo? Né avevo intenzione di riscrivere quell’incipit. Non dico che fosse perfetto: però era il suo incipit.

Bazzecole? Sì e no.

Chi scrive, scrive quello che vuole lui (il verbo “dovere” non esiste: se qualcuno dice che “si deve”, oppure che lo scrittore “deve”, io lo considero per quello che è: un nazista in potenza).

Purtroppo, il lettore non sa quello che vuole. Chi scrive, può tuttavia agire in maniera da raccontare quello che desidera, offrendo, almeno in apparenza, quello che il lettore desidera.

È uno dei motivi che spingevano Charles Dickens a ricorrere a espedienti che per molti critici erano, alla lunga, sempre identici e perciò noiosi. Vale a dire bambini sfortunati e vecchi rimbambiti e perciò molto simpatici.
Qualcosa di questa strategia, riveduta e corretta, la ritrovo anche in Graham Greene. “Un americano tranquillo” sembra una storia di amore (lo è in realtà), ma dietro, nemmeno troppo nascosto, è già in azione quel motore che farà piombare il Vietnam (e gli Stati Uniti), nell’inferno che conosciamo. Per questa ragione il libro venne considerato “anti-americano” quando venne pubblicato negli U.S.A.

È chiaro che se Graham Greene avesse scritto un libro di denuncia, e basta, non avrebbe mai avuto l’impatto che poi ebbe. La storia d’amore, l’intreccio, erano lo strumento che lo scrittore inglese usava per parlare anche di quello che stava accadendo, e che avrebbe avuto conseguenze spaventose. Per questo fu tanto osteggiato: perché era ben scritto. C’era una storia, dei personaggi, un intreccio; e tutti questi elementi rendevano il libro pericoloso.

Il lettore aveva quello che desiderava: una storia ambientata in un posto esotico. C’era anche l’amore. Però si trovava infilato, quasi senza rendersene conto, in una storia ben differente.

Lo stesso stratagemma Greene lo utilizza ne “I commedianti”. È ambientato nell’isola di Haiti, durante il governo di Papa Doc. Però ancora una volta ecco la storia d’amore. Sullo sfondo, l’orrore di una dittatura.


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