Leggo che il consenso, insomma i “Sì” che un autore riceve dai proprio lettori, potrebbero risultare dannosi. Avrebbero la capacità di impedirgli di crescere, inducendolo a crogiolarsi nella morbida coperta del consenso.
Al riguardo ho qualche dubbio.
Innanzitutto, si ha la (ferma?) convinzione che ormai il successo sia qualcosa che spetti di diritto a ciascuno. Certo, vendere 100 copie in un anno ormai è possibile (in passato è successo persino a me), mentre Scott Fitzgerald vendeva 7 copie de “Il Grande Gatsby” in un anno.
D’altra parte, c’è un diffuso sentimento di eccessiva fiducia nei confronti della Rete. A me capita ancora di incrociare sul Web gente che si lamenta di non aver venduto una sola copia in 4 giorni.
Beata ingenuità.
Ma lasciamo perdere questo. A me pare che il successo, o l’indifferenza, non abbiano mai davvero tarpato le ali. Melville è costretto a fare l’impiegato per portare a casa la pagnotta, ma scrive comunque. Zola o Dickens vendono a carrettate, diventano dei classici, e scrivono quello che desiderano. A volte con un esito migliore, a volte no.
Non credo che i “Sì” indeboliscano un autore. Innanzitutto perché egli, se ha del talento, accetta le sfide e si muove verso di loro a viso aperto. Costui o costei, hanno in testa una visione, e a lei obbediscono. Qualunque sia l’esito del loro lavoro, che sia coronato dal successo o dall’indifferenza, proseguono.
Ma quando è necessario smettere, perché è palesemente inutile? Non lo so. Alcuni scrivono un romanzo al mese, ne hanno a decinenei cassetti o sui dischi rigidi del loro computer. Non trovano alcun editore, e continuano.
Altri invece, procedono con lentezza.
Il punto però è un altro. Mi tocca citare Flannery O’Connor quando affermava che un autore deve avere una visione. Ecco: alla fine solo questo conta, ed è importante.
La visione non può essere influenzata dal successo, o dal silenzio.
Naturalmente, sarebbe bello riuscire a comprendere quando c’è una visione, e quando invece si insegue un miraggio. Perché tutti, anche chi scrive un romanzo al mese, è persuaso di essere molto bravo, e procede col vento in poppa. Fa bene, nessuno glielo deve contestare.
E allora?
Credo che alla fine il tempo sia galantuomo. Se hai un talento prima o poi emergi (lo diceva zia Flannery). Ed emergere non significa soltanto pubblicare con una casa editrice, perché pubblicare è alla portata di tutti. La mia idea è sempre quella: l’editore che ha una certa idea di letteratura, è a caccia di qualcuno che abbia in testa un percorso, una visione appunto.
Un essere capace di tracciare una via: come si fa in montagna…
