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L’intero capitolo 19 del Re Pallido è incentrato sul senso civico, sulla democrazia in America, sull’individualismo, sulla protesta anni ’60 divenuta moda inglobata dalle corporazioni, per finire a un modello in cui i cittadini da produttori sono diventati consumatori. È un discorso che avevo più o meno trovato in Consumed, di Barber. È un capitolo di dialoghi fra funzionari delle Entrate. Si parla di de Tocqueville e Rousseau, di Padri Fondatori, di Jefferson. Per coincidenza io sto “studiando” la Rivoluzione americana al serale, per cui doppio gusto. Nel dialogo il riferimento a de Tocqueville è questo: “dove dice che una particolarità delle democrazie e del loro individualismo è che per loro stssa natura erodono il senso di vera comunità del cittadino, l’impressione di avere davvero concittadini con preoccupazioni e interessi uguali ai suoi. Che è un paradosso agghiacciante, a pensarci, perché una forma di governo architettata per produrre uguaglianza rende i suoi cittadini così individualisti e presi da se stessi che finiscono col diventare solipsisti, concentrati sul loro ombelico”. Poi vado sul mio libro di storia per le superiori e per fortuna c’è una pagina proprio da La democrazia in America, del 1835, di de Tocqueville. Ed è effettivamente agghiacciante, aldilà del tono plumbeo ( fa venire in mente quella scena dei Simpson in cui Marge incontra Stephen King ): “Penso che la specie di oppressione che minaccia i popoli democratici non assomiglierà a nessuna di quelle che l’hanno preceduta nel mondo; le vecchie parole come “dispotismo” e “tirannide” non sono più adeguate ( sarebbero venuti i totalitarismi è vero, ma il senso rimane ). Vedo una folla innumerevole di uomini simili che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo. Al di sopra di costoro si erge un potere immenso e tutelare; è contento che i cittadini si svaghino, purché non pensino che a svagarsi. Lavora volentieri alla loro felicità, ma vuole esserne l’unico agente ed il solo arbitro”. Ora, io non saprei bene cosa dire. Se pensiamo ad oggi, uno dei temi “nuovi” è che il principio della delega mostra alcuni limiti. Le scelte economiche sono dettate senza che le si possa mettere in discussione. Non sono portato per una discussione di questo genere, però mi ha colpito il passaggio di de Tocqueville. Che i libri di Wallace ne siano impregnati è adesso ancora più interessante. Per esempio il tema della consapevolezza. L’insegnamento che teneva più a cuore di fronte agli laureandi e che viene però in certo senso messo in dubbio sia in Infinite Jest, sia nel Re Pallido, quando in due brevi passaggi scrive chiaramente che le scelte che poi condizioneranno la nostra vita non sono mai consapevoli. Da una parte la consapevolezza per toglierci questa sensazione di centro dell’universo, con le sue implicazioni esistenziali di nullità assoluta in confronto, che sfociano nel consumo compulsivo, nel dover essere qualcuno, lasciare il segno. Dall’altra il pensiero accidentale, quello che si manifesta in piccoli e inconsistenti frammenti, ma che ci direziona eccome. La cosa bella è di essermi accorto di un filo conduttore tra le opere, o almeno così mi è parso. In fondo non c’è nulla di tortuoso, ma per una persona che non ha studiato non è così semplice andare più a fondo nella lettura. Quindi oltre alla sensazione di leggere un autore con cui si “sente” qualcosa di affine, ma non si sa bene dire cosa, si è aggiunta la sensazione di cominciare a ascoltarlo veramente. Anche se poi le pagine finiscono e mi pare sempre che manchi qualcosa, forse perché mancano delle opere. O perché non capisco e la riflessione rimane superficiale.
Ok, non mi odiate, perdonate l'entusiasmo da primo giorno di scuola. Oltretutto faccio un sacco di assenze.
Vado a cercare un poster di DFW
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