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Ho già avuto occasione di scriverlo in qualche mie precedente "considerazione", il giudizio più severo che le generazioni future riserveranno a questi anni della storia italiana, oggettivamente dominati - nel bene e nel male - da Berlusconi, non sarà rivolto alla sua deludente azione di governo, alla sua incapacità di affrontare gli annosi problemi di fondo di questo paese - che, in alcuni settori, ad esempio la scuola e la pubblica amministrazione, sono diventati persino più gravi; le critiche più dure non saranno neppure rivolte al gravissimo tema del conflitto di interessi e ai suoi ripetuti - e a volte riusciti - tentativi di trasformare l'assetto costituzionale della nostra repubblica; tra molti anni probabilmente gli storici non citeranno neppure gli scandali che in questi giorni alimentano lo sfrenato gossip politico, ma Berlusconi sarà ricordato in maniera negativa perché ha lavorato costantemente, e con successo, a dividere in profondità gli italiani tra chi è con lui e chi è contro di lui, Berlusconi ha scavato - certo non da solo, ma lui è stato il principale responsabile - un fossato profondo tra queste due Italie, ormai incapaci di parlarsi. Se domani Berlusconi fosse colpito da un infarto improvviso e morisse, come è successo ad esempio all'ex presidente dell'Argentina Kirchner, assisteremmo a una spettacolo indegno di un paese civile: molte persone non nasconderebbero la loro soddisfazione, su Facebook si moltiplicherebbero i gruppi "pro infarto" e oscenità del genere, la morte del Presidente del Consiglio diventerebbe oggetto di barzellette più o meno sconce. Non succederebbe nulla del genere in nessun altro paese europeo se morisse all'improvviso il loro primo ministro.
Proprio adesso che il berlusconismo sta lentamente finendo, perché si sta consumando l'esperienza umana, prima che politica, di Berlusconi, bisogna che soprattutto noi, la minoranza, quelli che non siamo mai stati berlusconiani, troviamo le parole per rivolgerci all'altra Italia. Le parole giuste non sono certamente quelle di Di Pietro o di Grillo o di chi vuole approfittare di questa fase per far crescere qualche piccola rendita personale. Vendola ha saputo usare parole giuste.
Quando Berlusconi dice che è meglio andare a puttane che essere gay, dice una cosa che è considerata giusta e sacrosanta da moltissime persone, donne e uomini, che non avrebbero mai il coraggio di dirlo in pubblico; per queste persone sentire questa affermazione da Berlusconi, in televisione, è quasi una rivalsa contro il politicamente corretto, contro l'ipocrisia, contro un certo perbenismo. Per reagire a tutto questo sono controproducenti i toni profetici, gli alti appelli morali, le manifestazioni con baci in pubblico e così via; è probabilmente più utile ricordare, come ha fatto Vendola, che queste affermazioni possono essere una ferita per qualcuno che conosciamo, che amiamo e che non sappiamo sia omosessuale. E altri esempi potrebbero essere fatti.
Berlusconi non sarà sconfitto dalle invettive, Berlusconi si consumerà da solo, tra le adulazioni dei servi e le grida dei capipopolo. Poi un giorno questo regime finirà con la decisione di Berlusconi di lasciare - da un regime si esce senza traumi soltanto in questo modo - e ci sarà mezza Italia che cercherà di capire cosa fare; dovremo provare tutti a smettere di continuare a scavare il fossato e possibilmente dovremmo cominciare a renderlo un po' meno profondo. Poi finalmente potremmo perfino ricominciare a parlare di politica.
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