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Considerazioni libere (282): a proposito di antipolitica...

Creato il 28 aprile 2012 da Lucabilli

Chi legge questo blog credo che ormai lo sappia: io e la cosiddetta "antipolitica" ci prendiamo poco. D'altra parte se io, a questo punto della mia vita, dopo aver dedicato tanti anni alla politica, dopo aver fatto anche il funzionario di partito, diventassi - così all'improvviso - un paladino dell'antipolitca, sarei poco credibile, e finirei anche per essere un po' patetico, come quei vecchi che si ostinano, con ogni possibile artificio, a presentarsi molto più giovani di quello che sono. Non voterò mai il partito di Grillo, perché fino a quando mi sarà possibile, voterò per un partito di sinistra e, se non troverò più un partito di sinistra dalle idee non troppo dissimili dalle mie, smetterò di votare. Qualche volta mi è già successo di lasciare la scheda in bianco, da quando è nato il Pd. Ma al di là di come la penso io - anche se mi sembra onesto mettere le carte in tavola con i miei lettori - di antipolitica si parla ormai in tutte le salse e quindi anch'io provo a dire la mia.
Adesso in Italia è quasi di moda parlare di antipolitica, ossia parlare di Grillo, anche se Grillo non è l'alfa e l'omega dell'antipolitica, come vorrei spiegare nel corso di questa "considerazione". Per inciso molti di quelli che adesso ci spiegano l'antipolitica non capiscono già niente di politica e quindi le loro analisi rischiano di essere quantomeno superficiali. Tutti parlano di antipolitica perché c'è stato l'indubbio successo del Front nationale al primo turno delle presidenziali francesi e soprattutto perché tutti si aspettano un buon risultato del movimento Cinque stelle alle prossime elezioni amministrative; i sagaci commentatori non vedono l'ora di dire, dopo lo scrutinio, "noi l'avevamo detto".
Partiamo dall'Italia. Quando io, qualche anno fa, ho smesso di fare politica intensamente è cominciato il fenomeno Grillo. Faccio questa premessa per mettere le mani avanti: non conosco molto quel movimento, non conosco nessuna delle persone che per quel movimento è stata eletta negli enti locali e conosco anche pochi loro elettori - direttamente una sola persona e forse alcuni altri attraverso Facebook e la rete - quindi il mio giudizio è giocoforza mediato da quello che leggo nei giornali. La mia impressione è che Grillo, gli eletti del movimento e gli elettori siano "entità" un po' slegate: in sostanza Grillo non c'entra molto con il suo movimento. La mia idea è che Grillo abbia cominciato questa cosa, senza rendersi ben conto delle conseguenze che poteva avere e che a un certo punto abbia perso il controllo di se stesso, prima ancora che del movimento: sinceramente adesso mi sembra prigioniero del suo personaggio e per questo continui ad alzare il tiro della sua polemica, anche al di là delle sue convinzioni personali. Francamente Grillo in sé mi interessa poco, è destinato a passare e di lui gli storici del futuro credo si dimenticheranno. Più interessanti sono gli elettori di Grillo: qui l'antipolitica non c'entra nulla, anzi, questi hanno fame e sete di politica, hanno voglia di essere militanti, mitizzano anche una certa idea di partecipazione politica che in questo paese c'è stata nei decenni passati. Non è un caso che fino ad ora i grillini abbiano sfondato più nel nord che nel sud di questo paese. Vedremo come andrà il candidato Cinque stelle alle elezioni di Palermo, ma sicuramente nelle regioni dove l'antipolitica c'è davvero e si chiama mafia, questo fenomeno attecchisce molto meno che ad esempio in Emilia-Romagna, dove invece cresce nelle pieghe di una sinistra che aveva fatto della partecipazione civica una delle sue più riconosciute virtù. Anche se Grillo e gli eletti grillini ripetono come un mantra che la distinzione tra destra e sinistra è superata e che il loro movimento non è né di destra né di sinistra - pagando quindi il loro pegno all'ideologia della fine delle categorie novecentesche - ho l'impressione che i loro elettori, in particolare nella mia regione, vengano tutti da una determinata area e lì vorrebbero tornare. Devo dire che non riesco a inquadrare chi guida localmente quel movimento, a capire chi sono i loro eletti; per antica abitudine sono diffidente verso organizzazioni che non hanno regole definite per scegliere i propri capi e che si basano su chi ha più tempo, su chi parla meglio, su chi la spara più grossa. In alcuni casi questi capi locali hanno dimostrato di essere ben refrattari alle critiche e soprattutto di essere autoreferenziali, cedendo quindi a quel difetto di cui accusano a ogni pie' sospinto i loro avversari della "vecchia politica". Al di là di Grillo e dei suoi vari epigoni locali, quelli che votano per loro non criticano la politica tout court, ma questa politica e in particolare questa politica di sinistra. Rischio di ripetermi, ma credo che questo sia un punto essenziale - almeno per me lo è - la decisione del più importante partito del centrosinistra italiano, quello che per storia, per organizzazione e per radicamento territoriale poteva aspirare al governo di questo paese e a catalizzare intorno a sé le altre forze della sinistra - come sta avvenendo in Francia con i socialisti - la decisione di rinunciare a questo ruolo storico per inseguire il chimerico passaggio verso la "terza via" e soprattutto l'ultima suicida scelta di appoggiare un esecutivo di destra ha lasciato a sinistra enormi macerie. In Italia non c'è alternativa alla destra e quindi è inevitabile che raccolga consensi chi dice che sono tutti uguali, perché adesso effettivamente i partiti si distinguono soltanto per le sfumature. Grillo esisterebbe anche se ci fosse un reale, credibile, partito di sinistra, ma non avrebbe i consensi di cui gode ora, sarebbe un fenomeno del folklore politico, come Cicciolina o Scilipoti.
Mi pare che in Francia la situazione sia un po' differente da quello che succede in Italia e più simile a quello che avviene nel resto dell'Europa. Per il Front nationale votano i fascisti convinti, gli antisemiti, i conservatori più retrivi che in Francia ci sono sempre stati e hanno una lunga tradizione che risale almeno alla Vandea e che hanno avuto alcuni momenti di "gloria", come durante l'affare Dreyfus o nella repubblica di Vichy. Si tratta però di una minoranza degli elettori di quel partito - anche se tutti i quadri ovviamente vengono da quelle esperienze - la maggioranza di chi vota Le Pen esprime davvero l'antipolitica, il rifiuto radicale della società come è adesso, il rifiuto dei cambiamenti e della modernità, una protesta fine a stessa, la voglia di ribellarsi , anche una certa tendenza alla violenza. Il voto a Le Pen non è un voto consapevolmente fascista, è l'espressione di una parte della società in crisi e che preferisce urlare piuttosto che parlare. Questa è per me effettivamente antipolitica. In Europa in genere si catalizza attorno ai movimenti della destra estrema: è successo con il movimento di Haider in Austria, con quello di Wilder in Olanda, in parte con la Lega in Italia - anche se il leghismo è un fenomeno più complesso del riposizionamento di una certa destra sociale - è successo con altri movimenti razzisti e xenofobi nell'Europa del nord e dell'est. Bisogna capire perché in un paese ci sono queste pulsioni, senza lisciare il pelo a questi movimenti, come fa invece - speriamo questa volta senza successo - Sarkozy. La povertà, l'esclusione sociale, la mancanza di istruzione sono i fattori che fanno aumentare queste pulsioni profonde e la crisi è destinata quindi a far crescere questi movimenti. I benpensanti liberisti non si possono scandalizzare se cresce il Front nationale in Francia, perché loro ne sono i primi responsabili, con le loro dissennate ricette economiche. Sinceramente credo che nessuno pensi di "usare" questi movimenti, come è avvenuto invece con i movimenti fascisti negli anni Venti del secolo scorso, ma è sempre meglio non giocare con il fuoco. Gli agrari, i padroni delle fabbriche, i gran borghesi si pentirono - forse - di aver pensato che Mussolini e i fascisti sarebbero stati utili per evitare che i socialisti crescessero nella società di quegli anni. Speriamo che ora non ci sia un errore di sottovalutazione, dato che si continua a pensare che il mercato alla fine regolerà nel bene ogni cosa.
Certo l'errore più grave che adesso ci inducono a commettere è quello di non fare distinzioni e di etichettare tutto come antipolitica. Come ho detto, una cosa è l'antipolitica fine a se stessa e tutt'altra cosa è l'antipolitica che è critica radicale a una politica, quella liberista oggi culturalmente dominante. In fondo anche il Pci era antipolitica - mi scusino i vecchi compagni, voglio fare una provocazione, ma penso di non dire un'eresia - perché presupponeva una critica di sistema alla società come era allora. I vari movimenti che in questi mesi hanno riempito le piazze europee e nordamericane, dagli indignados spagnoli al movimento OccupyWallstreet, sono una forma di antipolitica, così come le "primavere arabe" hanno espresso forme di antipolitica, perché criticano il sistema su cui si regge la nostra società, ossia l'idea che il potere sia in mano a quei pochissimi che detengono tutto il potere economico. Effettivamente il nostro paese non bisogno di altri demagoghi - ne ha avuti e ne ha tuttora fin troppi - ha bisogno di questa politica.


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