Nell’ottica dell’armonizzazione, presto verrà abbandonato il vecchio orarioCONSIDERAZIONI SULL’ORARIO DI LAVORO DEGLI STAFF AMMINISTRATIVI IN CIRCUML’imminente modifica al nastro lavorativo desta molte polemiche e raccoglie pochi consensi In un’epoca di cambiamenti forsennati nella vita dell’intero paese, anche il trentennale orario di lavoro degli amministrativi della “morente” Circumvesuviana non poteva resistere a tale furia devastatrice. L’armonizzazione degli orari fra le varie aziende confluenti in EAV è indubbiamente operazione utile, ma forse non indispensabile allo stato delle cose. Infatti, la fusione (che peraltro stancamente prosegue ad intermittenza) non sarà, almeno a breve, un mescolamento di risorse umane. Peraltro, la struttura organizzativa - presentata meno di un mese fa - si è per ora fermata ai quadri dirigenziali e, per eventi
esogeni, pare che abbia già perso qualche pezzo e sarà gioco-forza necessario ritoccarla. Certo, fervono i lavori di un gruppo agguerrito di dirigenti per estenderla al secondo livello, ma pare che tale operazione sia fortemente rallentata dai soliti veti contrapposti, dalle estenuanti trattative sui nomi e dalle evitabili sterili polemiche su “
chi fa che cosa”, causate da un troppo “generoso” organigramma non esattamente allineato con il funzionigramma. Ma tant’è, staremo a vedere… Per arrivare all’armonizzazione degli orari di lavoro delle
mezzemaniche,ho fatto una breve e sommaria ricognizione dello
status quo. Chiedendo informazioni ai colleghi delle altre aziende sul Gruppo
Facebook “Ferrovie Campane” (a cui vi invito ad iscrivervi), mi risulta che attualmente ogni azienda ha una regolamentazione diversa, non solo per nastro lavorativo ma, soprattutto, per durata settimanale dell’orario, distribuzione sulle giornate, modalità di raccolta timbrature e controllo all’accesso. Senza entrare nel merito delle singole situazioni, vorrei fare qualche semplice considerazione, partendo dalla situazione presente in Circumvesuviana e provando ad estendere il ragionamento anche alle altre aziende. In Circumvesuviana, l’orario - più o meno lo stesso da decenni – prevede una settimana tipo articolata su due giornate cosiddette “lunghe” (lunedì e giovedì) da 10 ore – compreso i 30 minuti pausa pranzo - e tre giorni corti da 6 ore e 40 minuti (senza pausa pranzo). Esiste, peraltro, un’elasticità in ingresso di un’ora che parte dalle 8, orario d’ingresso per tutta la settimana. Gli ingressi, da qualche anno, sono regolati rigidamente(?) da varchi, comandati mediante marcatempo a badge. Quindi, ingresso ed uscita sono tutti memorizzati, e quelli non previsti vanno puntualmente regolarizzati mediante giustificativo. Ma tale procedura non è valida per
tutti gli abitanti del palazzo. Per funzionari, quadri e dirigenti si raccolgono solo la prima e l’ultima timbratura, escludendo per prassi consolidata ogni altra timbratura intermedia, assumendo, per convenzione, che tutto il tempo intercorrente fra la prima e l’ultima marcatura concorra al monte ore mensile. Questa prassi sostanzia, così, una sorta di benefit per una parte dei lavoratori, a cui si riconosce indirettamente una maggiore “flessibilità/elasticità”, in virtù di un non ben precisato maggior carico di lavoro/responsabilità di cui i funzionari sarebbero gravati. Carico già compensato, peraltro, da una specifica sostanziosa indennità. Le
mezzemaniche semplici (nome adatto ad un piatto della cucina tipica!!!) sono costretti, qualora ne avessero la necessità, a chiedere per proprie esigenze personali, un permesso non retribuito, peraltro, regolamentato in maniera abbastanza rigida. Preciso, per quelli che non lo sapessero, che io faccio parte - immeritatamente secondo i miei detrattori - della categoria privilegiata. Quindi, omertà vorrebbe che io non ne parlassi, ma i miei lettori più accaniti sanno che di omertà non posso proprio essere accusato, anzi. Proprio in quanto “privilegiato”, però, mi sento in diritto, ed anche in dovere, di parlarne. Equità vorrebbe che privilegiati e
mezzemaniche semplici avessero parità di trattamento, e cioè che
a tutti fosse data la possibilità di piccole uscite personali da poter recuperare nella giornata, previa autorizzazione del proprio superiore gerarchico. Nella pratica, invece, presumo che l’attuale rigida regolamentazione faccia nascere una serie di comportamenti
deviati, che finiscono per essere dei piccoli illeciti. Si parte dal cosiddetto
trenino(ridicolo affastellarsi di più persone dietro l’unico lavoratore che timbra), per passare al caso di marcature multiple di un singolo lavoratore per conto di tutti quelli del suo ufficio/reparto, per finire all’uso indebito del badge di un funzionario compiacente che, non avendo nulla da perdere da quelle uscite, è tentato di favorire un suo collaboratore a scapito di un altro/a, creando pericolose ed insostenibili commistioni. C’è da giurare, peraltro, che quanto accade in Circum sia prassi informale anche nelle altre aziende del Gruppo EAV, dove magari i piccoli “abusi” hanno differenti modalità a causa dei peculiari sistemi di accesso (assenza dei varchi d’ingresso, per intenderci). Parlo di questo nell’ambito di un ragionamento che non dovrebbe limitarsi all’esame delle varie ipotesi in campo per un nuovo orario di lavoro perché ritengo che precondizione per una qualsiasi scelta organizzativa, che incida così profondamente sulla vita delle persone, sia ridefinire l’intero quadro inerente la produttività degli amministrativi. Non approfittare dell’indubbia opportunità, che il cambiamento epocale ci impone, per ridisegnare dal punto di vista organizzativo il lavoro amministrativo, è un lusso che non possiamo permetterci. Inoltre, l’orario così come è stato finora non è solo elemento dell’organizzazione del lavoro ma è, sicuramente, elemento fondamentale nell’organizzazione delle vite stesse di centinaia di persone. Spesso, si finisce per immaginare le “regole” in maniera del tutto astratta, pur muovendo da indubbie necessità e vincoli. Vincoli e necessità vanno tenuti in considerazione ma devono tenere conto che ogni modifica incide sulle
vite reali di persone, non di mere
matricole aziendali. La standardizzazione, quindi, deve avvenire, ma può e deve essere compatibile con il passato. Ma, fatta questa premessa metodologica, vado per ordine e provo a dare un modestissimo, e non richiesto peraltro, contributo al lavoro di chiunque si stia occupando di questi temi (lavoratori interessati, manager e sindacalisti). L’ipotesi più logica - e quella più semplice da praticare - è abolire le giornate lunghe (quindi 5 giorni da 7 ore e 48 minuti a cui aggiungere 30 minuti quotidiani di pausa-pranzo, totale 8 ore e 18 minuti), ingresso alle ore 8 e uscita alle 16,18 con elasticità in ingresso di 45/60 minuti. Morale della favola: uno stravolgimento di ogni abitudine consolidata da decenni, intere vite programmate ed organizzate attorno ad altri ritmi da ricondizionare, impegni familiari da schedulare diversamente. E tutto questo coinvolgerà, non solo giovani virgulti o ancora gagliardi cinquantenni, ma anche attempate signore o non più pimpanti signori che, fino a qualche settimana fa, avevano in programma un pensionamento prossimo e che si ritrovano ora ad avere davanti dieci anni, e forse più, prima di poter raggiungere l’agognato ritiro in pensione. Tutto questo lo capisce perfino chi, come me, non ama gli orari fissi, la puntualità, la vita troppo programmata. Ma il cambiamento è forzato, non è una scelta, e bisogna sottomettersi alla sua forza incontrastabile. È finita un’era, e se non lo ammettiamo faremo la fine dei dinosauri. Però, c’è sempre una possibilità di governare il cambiamento. Non è impossibile pensare a soluzioni alternative che siano una logica e proficua mediazione fra passato insostenibile e futuro improcrastinabile. Ovviamente, sono l’ultimo per poter dare indicazioni ma, visto che non costa nulla, lancio la mia proposta. Innanzitutto, ritengo che se armonizzazione deve essere che lo sia veramente e completamente. Quindi, in primis tornelli anche negli altri fabbricati di tutte le aziende che si fondono e orario settimanale il più possibile equiparato (non tutti attualmente raggiungono le 39 ore settimanali). Poi, almeno per un discreto periodo transitorio (2/3 anni), lascerei almeno una giornata lunga (lunedì?) di 10 ore più 20 minuti pausa-pranzo (uscita alle 18,20) e distribuirei le restanti 29 ore sugli altri quattro giorni senza pausa-pranzo (uscita alle 15,15). In questo modo una sola giornata, diciamo “persa” per la vita sociale, e le altre più o meno simili a quelle attuali. L’azienda ne ricaverebbe un vantaggio in prospettiva ed i lavoratori avrebbero il tempo - in un lasso di tempo adeguato - per ristrutturare le proprie vite personali e familiari. Riguardo alla flessibilità in ingresso, ho una mia personalissima teoria. Fermo restando che la maggioranza degli amministrativi (di sicuro le mezzemaniche semplici) tendono ad arrivare in ufficio il prima possibile, concentrando l’assoluta maggioranza degli accessi nella fascia 8,00 – 8,15, sarei per una flessibilità lunga, diciamo 7,45 – 9,15 , che possa consentire in casi straordinari di avere un ampio “paracadute”, da gestire con parsimonia, ma del quale non penso si possa fare a meno in una società che sostiene da tempo la cosiddetta politica dei “tempi della città” per la quale, spalmare i movimenti delle persone in un arco temporale più ampio, aiuta a decongestionare gli afflussi verso le aree urbane. Insomma, la flessibilità non è un benefit, ma una necessità. È come avere le catene a bordo della propria auto: per anni non le utilizzi mai, ma quella volta che ti servono non puoi farne a meno… Riconosco che in questa mia ipotesi di lavoro c’è un inghippo: l’assenza della pausa-pranzo nelle giornate corte. Fatto superabile dall’accordo fra le parti, spero. Ricordo che io stesso, antesignano di una diversa modulazione dell’orario settimanale, per anni ho praticato l’orario fisso 8 – 15,48 - senza che vi fosse prevista la pausa. Quindi, o l’azienda ha agito illegalmente con me e tanti altri allora, o non vedo il perché, se i lavoratori fossero concordi nell’accettarla, non si possa praticare l’ipotesi testè delineata. In definitiva, consiglio di sgombrare il campo da ogni pregiudiziale ideologica e provare a dare corpo alle teorie sulla gestione delle risorse umane, mettendo
la persona al centro, atteso che non si possono fare guerre di religione sulla vita degli altri, soprattutto quando un inasprimento delle condizioni di lavoro non genera alcun incremento di produttività. Anzi, sono personalmente sicuro che un
clima decisionista avrebbe l’unico effetto di esacerbare gli animi di quanti si sentono, e probabilmente sono, tartassati da mille decisioni - a livello nazionale, locale ed aziendale - che li vedono fortemente penalizzati.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli