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Continua il progetto Slums Dunk in Kenya

Creato il 18 settembre 2012 da Basketcaffe @basketcaffe

Il basket non è “solo” lo sport più bello del mondo, può anche essere un veicolo per portare gioia e pace negli angoli più bui del nostro pianeta. Karibu Africa in collaborazione con Bruno Cerella, Tommy Marino e coach Michele Carrea si impegna ogni anno in questo obiettivo con il progetto Slums Dunk. Con Luca Marchina, tra i fondatori di Karibu Africa e Michele Carrea, assistente allenatore di Casalpusterlengo (DNA) nonchè responsabile tecnico di Slums Dunk, andiamo a scoprire come procedono le cose in Kenya.

Allora Luca, ci eravamo sentiti a fine 2011, sono passati nove mesi cosa ha “partorito” Karibu Africa con il progette Slums Dunk?

Quest’anno il progetto Slums Dunk e’ passato da una versione pilota ad un progetto vero e proprio. Dall’esperienza del 2011 abbiamo capito cosa ha funzionato e cosa dovevamo migliorare e dopo mesi di preparazione, in Italia e in Kenya, finalmente a giugno e’ iniziato il Camp 2012. In Kenya gli sport che vanno per la maggiore son l’atletica e il calcio, ma sport come il basket, la pallavolo e il rugby stanno crescendo molto. Nel 2004 quando per la prima volta mi son cimentato su un campo da basket kenyano i ragazzi giocavano con infradito o a piedi nudi, con palloni da calcio e con una concezione abbastanza astratta delle regole. In generale il basket kenyano era uno sport a se stante: sembrava di giocare a rugby australiano per il vigore, l’atletismo e le corse con ben pochi palleggi; sembrava di giocare a calcio con la squadra che si disponeva sul campo con ruoli ben chiari: difensori, centrocampisti e attaccanti…un bel delirio. La cosa piu’ incredibile era vedere le gare delle schiacciate: questi atleti che saltavano ben oltre il ferro ma che quasi mai la buttavan dentro. Un atletismo da paura (in senso positivo) abbinato a una tecnica anch’essa da paura (ma in senso negativo). A confronto vedere oggi i ragazzi che hanno partecipato al camp giocare a basket e’ pura poesia. Intendiamoci molto e’ ancora da fare ma ora possiamo veramente dire che nelle slums di Nairobi si gioca a pallacanestro.

Bruno Cerella (che purtroppo per colpa dell’infortunio patito a fine stagione non ha potuto partecipare all’ultimo camp) ci ha raccontato che quella del 2011 fu un’esperienza indimenticabile, quest’estate com’è andata?

Ogni mattina Mike (Carrea) e Tommy (Marino) partivano dalla nostra guest house e dopo un ora e mezza (quando andava bene) di traffico arrivavano a Eastleigh. Area degradata che si trova a 2,5 Km dal centro della citta’ di Nairobi, ma dove le condizioni di vita son distanti anni luce. Alle 10 di mattina iniziavano le lezioni ad un gruppo di 30 allenatori di basket kenyani. C’erano allenatori giovani e alle prime armi ma c’erano anche allenatori esperti e della nazionale kenyana. Ogni mattina la lezione era divisa in due: una parte teorica a cui seguiva una parte pratica in cui si vedeva sul campo tutto quello che era stato discusso nella lezione teorica. Ogni giorno poi alcuni allenatori si fermavano anche nel pomeriggio e insieme a Mike e Tommy organizzavano e dirigevano gli allenamenti per i giovani giocatori di basket (maschi e femmine) provenienti dalle squadre di Eastleigh e Kayole. Il primo fine settimana abbiamo poi organizzato un torneo 3vs3 misto su quattro campi, aperto solo ed esclusivamente ai ragazzi del camp. Il secondo fine settimana invece abbiamo fatto un torneo 5vs5 under 21 aperto sia ai campisti che a squadre esterne. Potete vedere il video promozionale che abbiamo girato quest’anno sul nostro blog.

Tra gli obiettivi del progetto ci sono il promuovere l’attivismo sociale e la volontà di infondere una cultura di rispetto delle regole, anche soprattutto attraverso il basket. Siete riusciti nel vostro intento?

Non so se ci siamo riusciti ma abbiamo fatto del nostro meglio. Il basket universalmente ben si presta ad essere strumento di promozione educativa ed umana. Il basket e’ uno sport di squadra, e’ importante in ogni momento aver fiducia dei compagni ed aiutarsi a vicenda Se si riesce a fidarsi reciprocamente su un campo da basket sara’ piu’ semplice che ciò accada anche fuori dal campetto, nella vita di tutti i giorni. Noi abbiamo provato a passare questo messaggio in un contesto contraddittorio come la citta’ di Nairobi e le sue baraccopoli, luoghi dove ognuno pensa sempre e solo per se“.

Dal punto di vista tecnico la conduzione è affidata a coach Michele Carrea, assistente allenatore della Assigeco ed ex Olimpia Milano e Casale Monferrato.

Mike, subito una domanda a bruciapelo: come mai hai deciso di partire per quest’avventura?

Il primo contatto con l’Africa e il Kenya lo ho avuto a venti anni, partii una prima volta per conoscere e studiare e una seconda volta portai nel territorio di Likoni(Mombasa) un’esperienza simile a questa. Lo scorso anno l’amicizia con Bruno e Tommy ha risvegliato la voglia di partire e di confrontarsi con persone e luoghi così distanti da noi. Sono sempre più convinto che siano esperienze in grado di crescerci come poche altre cose, in grado di darci un’altra prospettiva sul mondo utile anche a vivere meglio la nostra”.

Con te entreremo un po’ più sulla parte tecnica del progetto. Lezioni tecniche, fondamentali, divertimento. Cosa hai deciso di mettere al primo posto e come hai deciso di strutturare le giornate del camp?

La grande novità di questa edizione è stata il corso allenatori, di quella fase ci siamo occupati con grande impegno cercando di valutare al meglio cosa fosse utile dire e cose lo fosse meno nelle due settimane che avevamo a disposizione. Anche durante i pomeriggi che passavamo sul campo abbiamo cercato di lasciare spazio agli allenatori che formavamo al mattino, anche a costo di perdere del tempo. La giornata si sviluppava con due blocchi di lezioni al mattino dalle 9.00 alle 10.30 (teorica in aula) e dalle 10.45 alle 12.30 pratica sul campo. Il pomeriggi l’attività con ragazzi e ragazze osi suddivideva in tre fasce orarie: 14.00 principianti, 15.00 intermedi, 16.00 esperti. Ritengo sia stato molto importante creare questo momento di formazione e come tutti i progetti di cooperazione credo che il senso sia lasciare qualcosa che possa prescindere dalla presenza straniera. Noi nel nostro piccolo, seppure in un settore da molti ritenuto non primario abbiamo provato a lasciare alla gente di Nayrobi non solo palloni destinati a consumarsi, non solo divise che non saranno mai sufficienti a vestire tutti e non solo svago e divertimento ma anche e soprattutto competenze. E’ certamente molto ambizioso, speriamo di esserci riusciti!

Il continente africano ha sempre sfornato talenti e fisici paurosi, l’emblema che ad oggi rappresenta questa immagine è Serge Ibaka, però tecnicamente non ci sono i mezzi per insegnare al meglio questo sport. Tu cosa hai notato stando a contatto con ragazzi che forse hanno imparato la pallacanestro guardando la televisione o giocando per strada?

Io ho imparato che si può fare pallacanestro con molto poco, ho imparato che il miglioramento è motivo di soddisfazione per chi parte da 9 ma anche per chi parte da 0, ho riassaporato il gusto di fare sport senza l’ossessione del risultato ma con il gusto del provare a fare qualcosa insieme. Il Kenya è un paese senza una grande tradizione, non credo sia giusto interrogarsi sul potenziale dei ragazzi Africani, quello non è il centro della nostra azione, quello che è utile chiedersi è quanto potrebbe aiutare lo sviluppo di una paese una federazione sportiva strutturata, una classe di allenatori motivati e competenti?Io credo potrebbe essere davvero utile in Kenya come in tutti i paesi, con la pallacanestro come con tutti gli sport, noi abbiamo portato il nostro e abbiamo provato a presentarlo come una valida alternativa a tanti altri modi peggiori per far passare il tempo ai ragazzi. I talenti forse arriveranno forse no, forse li aiuteremo forse no, non è il focus del nostro operare. Slums Dunk non cura malattie, non dà da mangiare, non vuole ergersi soluzione di nessun problemi, io lo definirei un tentativo di normalizzare qualcosa che normale non è nella vita di tutti i giorni di ragazzi e allenatori delle baraccopoli urbane”.

Infine Luca e Mike ricordateci come possiamo aiutarvi anche a migliaia di chilometri di distanza.

“L’aiuto più prezioso è il vostro supporto nel far conoscere ad un pubblico il più vasto possibile il progetto. Siamo partiti con il sogno di Bruno di portare la pallacanestro nei luoghi più degradati del Kenya, pian piano il sogno è stato condiviso da tantissimi amici e ha iniziato a diventare realtà. Voglio ringraziare tutti coloro che con il loro aiuto garantiscono a questo progetto di crescere ogni giorno. Prossima tappa? La realizzazione di camp nelle aree degradate non solo in Kenya ma anche di altri paesi dell’Africa e perchè no del mondo”.

Per contribuire al progetto:
BOLLETTINO POSTALE intestato a: Karibu Afrika Onlus, C/C 82899717 causale Slums Dunk.
BONIFICO BANCARIO intestato a: Karibu Afrika Onlus, Poste Italiane, IT75 J07601 11200 82899717 causale Slums Dunk.
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