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(quest’articolo chiude la serie Cosa c’entra Michelangelo con la Nuova Fantascienza?)
Voglio confessarti una cosa. Ogni volta che per lavoro mi trovo a scambiare quattro chiacchiere con un artista, non mi lascio mai sfuggire la possibilità di indagare meglio il rapporto tra il creatore e la sua opera, tra colui che dovrà dominare la materia e la materia stessa.
Ti sei mai chiesto, ad esempio, perchè un artista sceglie di lavorare il legno piuttosto che il marmo? Perchè utilizza l’acquerello e non la tecnica dell’incisione? Perchè dipinge su tela e non su vetro?
Io sì. Me lo chiedo sempre. È l’artista a scegliere la materia o il contrario?
A tal proposito ricordo che qualche anno fa mi trovavo nella bottega di un giovane scultore romano a Trastevere.
Dovevamo selezionare alcune opere da esporre in una nota galleria della capitale e così, tra uno scambio di punti di vista e l’altro, ne approfittai per capire meglio che tipo di rapporto avesse con la sua materia.
Il [marmo].
Già. Perchè quel ragazzotto magro magro con la barba lunga aveva scelto proprio l’elemento meno malleabile per eccellenza come materia privilegiata per le sue creazioni.
Strano, non trovi?
In fondo nell’ultimo secolo è bastato:
- Riempire un barattolo di merda (Manzoni)
- Tagliare una tela (Fontana)
- Mettere in linea un po’ di scatolette per sugo Campbell (Warhol)
- Spremere qualche tubetto di colore alla cazzo di cane come in preda ad un amplesso pittorico (Pollock)
per segnare in modo indelebile la storia dell’arte moderna (e bada bene che non sto dando un giudizio sulle singole opere e sui loro autori).
Quindi la domanda sorgeva spontanea nella mia testa: perchè sbattersi proprio con il marmo?
Insomma, la scelta del giovane artista romano con la barba lunga mi sembrava all’epoca del tutto [fuori] dal tempo e [contro] il nostro tempo.
Cos’era? Una sfida antica e rivoluzionaria allo stesso tempo, oppure un mero sfoggio di bravura, un vuoto esercizio di stile?
Glielo chiesi.
- Perchè proprio il marmo?
- Ho sempre pensato di aver bisogno, come artista, di limiti e confini ben delineati, di uno spazio circoscritto entro cui operare. Una specie di costrizione, non saprei come spiegarlo meglio.
- Puoi essere un po’ più chiaro?
- La verità è che oggi, noi artisti, abbiamo troppo. Troppe tecniche, troppi materiali, troppa libertà. Io invece ho bisogno di regole e divieti. Di cose che si possono fare e di altre che non si possono fare. Ogni materiale, ogni supporto fisico, ha le sue regole. Ma il marmo ne ha di più. Il marmo è per sua natura un elemento complesso, difficile da plasmare e dunque da dominare. Ecco, io ho bisogno di questo: limiti e spazi difficili da dominare. Ho bisogno di meno libertà, non di più libertà.
Mi aveva aperto un mondo, quell’artista con la barba lunga. E ancora non lo sapevo.
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# Riassunto delle puntate precedenti
Se non ti sei distratto troppo nel corso di un’estate così torrenziale e bizzarra, ricorderai che nei precedenti articoli di questa mini-serie dedicata alla Nuova Fantascienza abbiamo viaggiato insieme tra libri e film accomunati da un nuovo concetto di [spazio].
“Spazio” non più inteso come una galassia potenzialmente infinita da esplorare ma come un territorio circoscritto e limitato entro cui muoversi e sopravvivere.
Abbiamo cercato di capire come – in un futuro prossimo o lontano – il genere umano possa resistere all’interno di mondi artificiali caratterizzati da confini precisi e invalicabili, vedi:
- Treni in perenne movimento e silos sotterranei
- Città sovrapposte e città che che non esistono
- Matrici digitali e ambienti virtuali ricreati al computer
Adesso non ci resta altro da fare che rispondere alla domanda che dà il titolo all’intera serie e anche al primo articolo di questo viaggio così fuori dagli schemi, ossia: cosa c’entra Michelangelo con la Nuova Fantascienza?
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# Fotografare Michelangelo
Parlare di Michelangelo è come disquisire di un Gesù Cristo in miniatura.
Rischi sempre di scadere nel banale o – nel peggiore dei casi – di non rendere giustizia a uno dei più grandi artisti che il mondo abbia conosciuto.
Così voglio parlare della sua opera partendo da un meraviglioso volume, tanto imponente quanto lussuoso.
Il volumone in questione s’intitola Michelangelo, la dotta mano ed è stato pubblicato qualche anno fa dalla storica casa editrice FMR specializzata in libri artistici di pregio a tiratura limitata.
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Questo volumone, oltre all’incredibile livello qualitativo dei materiali utilizzati e alle preziose tecniche di lavorazione impiegate per la sua realizzazione, reca in sè una caratteristica che lo rende assolutamente unico, caratteristica che potrei racchiudere in una semplice domanda: cosa accade quando un grande fotografo contemporaneo incontra la scultura di Michelangelo?
Detto in altri termini: può l’occhio fotografico restituire ai nostri sguardi nuove interpretazioni – ma sarebbe più corretto dire [nuove visioni] – dell’opera michelangiolesca?
Di seguito alcune immagini tratte dal libro.
L’autore di questi scatti meravigliosi è Aurelio Amendola.
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Osservando queste sculture è come se non le avessimo mai viste “sul serio”.
Come se le vedessimo ora per la prima volta.
Sotto una luce nuova.
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Ah, dimenticavo. Il volumone costa centomila eurini. Visto però che non devo vendertelo, non chiedermi di giustificarti il prezzo… ok?
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# Nello [spazio] di Michelangelo
Michelangelo diceva: “Io non creo nulla. Tolgo solo il superfluo.”
Per il geniale artista fiorentino l’oggetto finale della sua creazione – nella sua forma definitiva – era già racchiuso nel blocco di marmo originario.
Egli non faceva altro che tirare via il superfluo, aiutando così l’opera d’arte ad emergere.
Osservava lo [spazio] racchiuso nel blocco ancora immacolato e poi, piano piano, scioglieva le catene che imprigionavano (e nascondevano) la scultura finale, il soggetto immaginato.
Michelangelo operava [dentro] lo spazio. Non [oltre].
Dentro.
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# La battaglia per la supremazia della mente sull’oggetto
La scultura è l’arte tridimensionale per eccellenza. E più il materiale si presenta difficile da lavorare, più lo [spazio] da dominare diventa un limite e, al tempo stesso, una sfida.
Ecco, in questo senso il marmo non ha rivali. Dominarlo vuol dire dominare la materia per eccellenza, con le sue regole e i suoi divieti.
Per scolpire un blocco di marmo devi imparare a [creare] restando dentro uno [spazio] ben preciso. Il blocco.
Devi stare alle sue regole. Le regole del marmo.
Certo, anche nella pittura devi muoverti all’interno di dimensioni e spazi ben definiti – la tela, la cornice, la superficie pittorica – ma non c’è lotta fisica.
Lotta [mentale] sì, certo. Ma non lotta [fisica].
Col marmo, invece, mente e corpo debbono essere perfettamente allineati per dominare il blocco intonso. E talvolta il semplice gesto, lo scalpello nelle mani dello scultore, si fa più importante della mente.
Tutti gli artisti – siano essi scultori, pittori, scrittori o fotografi – intraprendono da sempre una disperata battaglia senza esclusione di colpi con lo [spazio] fisico dal quale poi tireranno fuori la loro opera d’arte:
- La carta per lo scrittore
- La tela per il pittore
- La pellicola per il fotografo
- Il blocco di marmo per Michelangelo
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Ma fra tutte queste battaglie destinate a sancire la supremazia della mente creativa sull’oggetto artistico, ce n’è una che senza dubbio supera le altre per difficoltà, resistenza e dominio.
La lotta tra uno scultore e il suo maledetto blocco di marmo.
Perchè col marmo non hai scampo, sai.
- Non puoi tornare indietro.
- Non puoi cancellare una pagina e riscriverla da capo.
- Non puoi coprire una pennellata con un’altra pennellata.
- Non puoi scattare una seconda e una terza e una quarta fotografia.
- Non puoi.
O vinci. O perdi.
Mente e corpo, pensiero e azione, devono essere assolutamente allineati per dominare il marmo, per togliere via il superfluo e far uscire l’opera d’arte nascosta nel blocco.
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Scolpire il marmo è come partorire: sai già che dentro di te – dentro lo [spazio] limitato della tua pancia – custodisci una nuova vita che devi solo regalare al mondo, eppure lei, quella “vita”, non ci pensa proprio ad uscire. Non ne vuole sapere.
Dipendesse da lei, non abbandonerebbe mai quel fottuto cordone ombelicale e quella fottuta placenta.
Così devi pensarci tu. Devi spingere, e urlare, e imprecare, e ancora spingere, urlare, imprecare, prima di vederla uscire.
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Devi, in sostanza, togliere il [superfluo] – cordone, placenta e pancia – per poter ammirare l’oggetto finale della tua creazione, quello che avevi concepito all’inizio e che speravi un giorno di riuscire a plasmare.
Proprio come Michelangelo. Proprio come fanno i grandi scultori.
Solo nel [limite] fisico della tua pancia esiste una nuova vita, così come solo [limite] fisico di un blocco di marmo esiste una nuova scultura.
Solo nel [limite] fisico di un treno in perenne movimento o di un silo sotterraneo (i mondi inventati dalla Nuova Fantascienza) esiste la possibilità di sopravvivere.
Ecco cosa c’entra Michelangelo con i libri e i film di cui ti ho parlato nei precedenti articoli.
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Dominare il “limite” e lo “spazio” non vuol dire solo dominare l’arte.
Vuol dire, soprattutto, dominare la vita.
La possibilità di esistere e re-sistere.
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# E tu?
Prima di andare in ferie lascia un commento (su quest’ articolo o su tutta la serie). O anche no. Insomma amigo, fai un po’ come ti pare.
Tanto se continua a piovere così ci sarà una specie di suicidio di massa. Ancora non ci hanno insegnato a dominare la pioggia.
Il marmo sì. Ma la pioggia no.
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