
Torno brevemente su un argomento già trattato in passato sul vecchio blog.
La voglia di riparlarne mi è venuta in questi giorni, gironzolando tra gli scaffali di saggistica della Feltrinelli (unico reparto che oramai m’interessa, visto che quelli di narrativa sono diventanti impresentabili).
Io amo la saggistica, perfino quella così particolare da risultare tanto specifica quanto “inutile” ai fini pratici. Leggo un sacco di biografie, per esempio quelle sui dittatori africani e sulla storia dei paesi un tempo appartenenti al Patto di Varsavia. Negli ultimi anni mi sono poi divorato una quantità industriale di libri sugli Asburgo e sull’Austria-Ungheria.
In campo delle scienze “spiccie” non è raro che mi fiondi su qualche trattato di zoologia o di botanica.
Tutte nozioni che, come direbbero molti miei cari conoscenti “non servono a un cazzo“.
A onor del vero c’è da dire che da noi tirano moltissimo i saggi politici (altra mia fissa) e ultimamente anche quelli economici (che invece tollero poco, ma solo per colpa mia).
Forse si tratta di quel retaggio da “tifosi” che divide da sempre la nostra gente. Per questo l’ennesima biografia su Berlusconi o su Marchionne può sembrare più affascinante di un saggio sulle esplorazione del ’600. A essere sinceri ne capisco anche il motivo, almeno in senso lato.
Riguardo ai libri di storia, vanno sempre fortissimo quelli sul fascismo e sui partigiani. In fondo il nostro paese vive ancora in una frattura ideologica mai saldata da una riconciliazione nazionale, cosa che invece è avvenuta in Germania dopo il 1945 e dopo il 1989.
Ma non è il caso di fare una guerra su argomenti e tematiche.
Quel che volevo far notare è l’atteggiamento orrendo che molte persone hanno riguardo a tutto ciò che rappresenta divulgazione.
“Non serve a un cazzo”, come dicevo poco fa.
Concetto che, specialmente nella provincia annoiata e un po’ burina, ti inculcano fin da piccolo. Salvo eccezioni. Lodevoli, meravigliose, importanti eccezioni.
Ma in linea di massima questo atteggiamento di disprezzo c’è ancora ed è meno giustificato rispetto a qualche anno fa.
L’Italia è un paese dal retaggio contadino. Va da sé che fino a 50 anni fa era difficile mettere insieme il pranzo con la cena, perciò leggere, istruirsi e informarsi erano considerati dei lussi trascurabili, se non delle cose da “signorini di città”.
Non so dirvi con certezza se anche da noi è mai esplosa una sorta di rivoluzione culturale. Probabilmente sì, tra la fine degli anni ’60 e i primissimi anni ’80. Non a caso citiamo ancora oggi scrittori, registi, poeti e musicisti di quell’epoca come icone dell’Italia che pensava, dibatteva e creava.
Certo, da quel periodo sono nati anche gli intellettuali da operetta, quelli che, in un certo senso, rovinano la “categoria”. L’esempio più classico è quello del politico/intellettuale cresciuto nella bambagia del partito, tanto intelligente quanto avulso dalla vita reale.

Una palese idiozia circolata per settimane su Facebook
Perché alla fin fine torniamo sempre qui: chi studia è avulso dal mondo (dicono).
Meglio imparare ad aggiustare un motore o a costruire un muro. Meglio zappare i campi, come si diceva una volta.
Come se una cosa debba per forza escludere l’altra, specialmente nel XXI secolo.
Ora cadrò in una trappola sapendo di farlo, tuttavia non posso fare a meno di dichiararmi disgustato nel leggere certe presunte “battaglie” scatenate sui social network. Richiami storici strampalati, che inneggiano al fascismo o al comunismo come alla soluzione per tutti i mali. Consigli riguardo alla salute (diete, regimi alimentari estremisti etc) prese di peso da qualche sito di scarsissima valenza scientifica. Ma ancora: hoax clamorose, spesso rimbalzate da siti che vivono di sole polemiche, spacciate per indefesse verità. Ricordo su tutte una delle più idiote di sempre: “Il governo Monti tasserà gli animali domestici!“. E giù tutti a condividere su blog e Facebook, senza nemmeno farsi una domanda di semplice buon senso.
La mancanza totale di approfondimento, la voglia di lanciarsi in qualunque causa populista: sintomi di una scarsa conoscenza del mondo che ci circonda. Eco del desiderio belluino di individuare sempre un nemico (di solito forte e potente, o magari ricco e famoso) e di distruggerlo sulla base del niente.
In un’epoca in cui l’informazione è davvero a portata di mano, buona parte di noi preferisce continuare a pensare col cervello degli altri, attribuendo la colpa di tutto ciò che accade ai “professori”, anelando a presunti modelli bucolici (il ritorno a una vita agreste) secondo i quali lo studio, la documentazione storica, la tecnologia non sarebbero altro che parte di tutto il male che ci sta succedendo.
Non so a voi, ma a me è una cosa che fa paura.





