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Conversazioni tra bambini dal parrucchiere. Ragnatele e stagnole

Creato il 14 settembre 2011 da Unarosaverde

 La settimana scorsa, tra lavoro, fisioterapia e già cronica carenza di sonno, saltarono fuori, per raggiunti limiti di tolleranza, anche un paio d’ore per la periodica “spuntatina”. Entrai nel negozio del solito parrucchiere immersa nei miei pensieri. Sprofondata nel divanetto, dopo qualche minuto, misi a fuoco l’ambiente. Mi parve ci fosse una nota stonata. Resistendo all’impulso di uscire a leggere l’insegna per vedere se, sai mai, avessi sbagliato porta, mi dissi che l’uomo con le forbici in mano era sempre lo stesso quindi il luogo doveva per forza essere quello giusto. Poi capii cosa c’era di diverso dal solito: niente sciure a fare la piega, niente ragazze col colore in posa: l’altezza della clientela iniziava dalla mia vita in giù. Tempo di rientro a scuola e di tagli di frange.

Un bambino di sei anni se ne stava seduto fermissimo su una poltrona, quasi senza respirare, i capelli già rasati, mentre il parrucchiere si accaniva con un rasoio sopra il suo orecchio sinistro. Il fratello, di poco più grande, lo fissava dalla sedia accanto, che faceva girare in mezzi cerchi. Andata, ritorno, andata. “Ho deciso. Voglio la cresta colorata” disse bloccandosi a metà strada e dondolando le gambe. Il parrucchiere, che appartiene alla specie degli uomini placidi e sintetici, intercettò sullo specchio lo sguardo della madre dei due, di ritorno dal lavaggio e ora ferma alle loro spalle: “Potremmo fare dei giochi di luce. Con stagnole o a mano libera”, consigliò con voce monocorde, poi tornò ad occuparsi del cliente più piccolo. La donna disse al figlio: “Decidi tu: la testa è la tua” e si mise a discutere con il parrucchiere di cosa fare delle proprie, di chiome.

Il bambino più grande scivolò pensieroso giù dalla sedia e intercettò il padre, in quel momento seduto sul divanetto col sedere appoggiato solo per metà. Impaziente, si era guardato intorno, aveva trascorso cinque minuti a muovere la gamba sinistra in un ritmico movimento nervoso, si era fatto un giro fuori, era rientrato, si era riseduto almeno due volte da quando ero arrivata. “Papà? Papà? I giochi di luce è meglio farli con la stagnola o a mano libera?” gli domandò serissimo il figlio. “Anzi, prima di tutto. Cosa è la stagnola e cosa vuol dire a mano libera?”. Il viso del padre assunse un’espressione perplessa. Concordai mentalmente con lui che la domanda, per i non addetti, non era certo delle più facili. Ci pensò un momento poi rispose : “La stagnola è la stagnola. A mano libera significa che li fanno a mano”. Il figlio si rese conto che non avrebbe ricevuto lumi da questo lato della famiglia: lo guardò negli occhi poi decise “Ho capito. A mano libera significa che usano tipo il pennarello” e se ne tornò sulla sua sedia girevole.

Il fratellino, nel frattempo, era stato liberato da mantella e costrizioni e si rimirava allo specchio, la faccia voltata a novanta gradi, le pupille infilate nell’estremo dell’angolo sinistro degli occhi. Una struttura geometrica, che poteva essere qualunque cosa, dall’impronta di un pneumatico alla cavea di un teatro antico, iniziava appena sopra il lobo e si espandeva in semicerchi simmetrici fino a metà della testa. “Sono l’Uomo Ragno.” Mormorò rilassandosi mentre un sorriso soddisfatto gli compariva alle labbra. “Mamma, guarda: sono l’Uomo Ragno!”. E si avvicinò saltellando alla madre, la testa sempre voltata, lungo la fila di specchi alle pareti. “Tanti la colorano di blu o di rosso” – mi informò la ragazza addetta al lavaggio che aveva visto il mio sguardo perplesso. “Ah! – risposi poco convinta . Non sono aggiornata sui trend della moda dei ragazzini, non mi ero accorta che l’epoca del codino sta sparendo per far largo a quella dell’espressione artistica del cranio. D’altronde la popolazione maschile che frequento io appartiene alla fascia d’età maggiormente impegnata nell’impari battaglia con gli spiazzi che si aprono al centro della testa e mi sono fatta una cultura indiretta di trapianti, riporti e rasature da marines.

In un’altra poltrona se ne stava seduta una bambina, dai lunghissimi capelli biondi, impegnata a farsi fare treccine alternate ad innesti di piccole liane colorate. “Non si usa più il frisé?” avrei voluto chiedere mentre mi passavano per la testa immagini non troppo recenti di capigliature mosse e fiere da piccole leonesse. Poi decisi di lasciar perdere e di dedicarmi ad un pisolino ad occhi aperti, una volta sicura che la lunghezza della spuntatina fosse condivisa tra me e il padrone delle forbici. Ne riemersi una mezz’ora dopo quando un giovanissimo e felice cacatua, con una cresta rossa e gialla su sfondo bruno, dipinta di sicuro a mano libera, passava saltellando dietro la mia poltrona.


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