Te lo dico io, Roberto, quando siamo diventati bacchettoni. E mi ricordo addirittura l’istante esatto: la relatrice è passata alla slide successiva e sullo schermo sono apparsi due casi di social media marketing di successo riguardanti la Nutella e le Gocciole. C’era un fetta di pane con la Nutella che si aggrappava a un palo per il forte vento fresca fresca di un post sulla sua pagina Facebook. A fianco un’analoga iniziativa con un biscotto con i capelli neri e lo stecchino in bocca che doveva somigliare a Roberto Benigni. Entrambi gli esempi riportavano a fianco numeri che non sono passati inosservati al pubblico della prima giornata del SMX 2014, un vero e proprio happening della comunità di professionisti del marketing digitale. Centinaia e migliaia di fan della crema alla nocciola e dei biscotti industriali – prodotti di cui anche mia figlia è ghiotta, sia chiaro – che hanno speso del tempo per dimostrare la loro approvazione a quel tentativo di conversazione tra brand e audience. C’è quindi uno storytelling della Nutella e delle Gocciole, ci sono risorse dedicate che hanno fatto di quello il loro lavoro, che per carità ha la sua dignità tanto quanto un tornitore, un maggiordomo o un dog sitter. Comunque appena abbiamo percepito e sedimentato il senso di quella slide, è proprio in quel momento che siamo diventati bacchettoni. Ed è una fortuna, Roberto, che io e te non viviamo in una società di integralisti religiosi o che non siamo in quei posti sperduti delle Louisiana dove ci sono quei pazzi da True Detective che quando vanno in tilt si comprano i mitragliatori al supermercato sotto casa. A me e a te ci girano i coglioni già quando arriviamo al nuovo quartiere fieristico e leggiamo gli striscioni “Benvenuti in Europa” sulle transenne intorno ai cantieri con gente che chiede l’elemosina e proprio dopo un treno in ritardo di mezz’ora e fermo sotto una galleria in cui il telefono non prende. Oppure ci innervosisce la presenza di un frigobar pieno di bottiglie di Carlsberg gratis proprio oggi che siamo nel pieno del periodo no-alcol, una specie di fioretto che non si sa bene per chi o per cosa è in corso. E c’è pure la festa di Twitter, stasera, a inviti e io e te non siamo stati invitati, nel locale di un’altra creatura di questo pazzo pazzo occidente che è uno di quei Masterchef di successo che – e qui ci starebbe una bestemmia – fino all’altro ieri pasteggiavamo a tagliolini in brodo e polenta e oggi siamo vittime di questa follia collettiva consapevoli che poi, Cracco o non Cracco, tutto dopo si trasforma in merda. Così mentre divampano sempre più focolai della guerra dei poveri nelle nostre banlieue che hanno nomi evocativi del calibro di Torpignattara, mentre la scelta tra le personalità che dovrebbero offrirci la sintesi della politica va dalla destra postfascista alla destra populista anti-euro fino alla destra post-razzista – quella che ci vuole far credere che i posti come Torpignattara erano belli come San Gimignano prima che arrivassero gli stranieri con i loro costumi inadeguati – ecco nel bel mezzo del progresso di diversi colori tra i quali il nero e basta (cit.), anzi no anche il verde dei nostri conti bancari, proprio oggi in cui questo rifiorire di narrazioni sui pomodori pelati capita in un momento storico in cui a malapena siamo in grado di capire il senso di un avviso sul libretto delle comunicazioni tra la scuola e la famiglia dei nostri figli. Ecco, in questo squallore illuminato solo dai nostri smartcosi accesi giorno e notte, il problema sembra essere il posizionamento esistenziale delle aziende, una volta definito il quale noi, sul nostro social network preferito, possiamo finalmente decidere se stare con il prodotto ed essere brand ambassador, oppure no. Non dare il nostro like alla pagina. Trollare chi si spende per intavolare discussioni costruttive con il community manager del Philadelphia. Non c’è da stupirci così se diamo diventati bacchettoni e va bene esserlo in qualunque disciplina che ci consenta di annullarci fisicamente in qualche modo, come quelli che si preparano per fare le maratone nelle varie città del mondo e si allenano anche tre volte al giorno. Occorre davvero un rigore ma parlare di morale non me la sento, perché sia io che te, Roberto, siamo costretti a dare anche il nostro contributo in questo mondo che ha dell’osceno e, a dirla tutta, non capisco però quale sia stato il punto in cui era evidente che sarebbe andata così e nessuno ha fatto nulla per impedirlo.
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convertiti al rigore dallo storytelling di un prodotto da supermercato
Creato il 14 novembre 2014 da Plus1gmtPossono interessarti anche questi articoli :
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