L’utilizzo/sfruttamento dei teenagers da parte dei brand non è un fenomeno nuovo. Già a partire dagli anni ’30 del XX secolo, infatti, nacque e sviluppò il concetto di pubblicità “peer to peer” (da coetaneo a coetaneo); migliaia di ragazzine, denominate street teams”, venivano ingaggiate per reclamizzare Frank Sinatra tra i coetanei e urlare ai concerti del cantante italo-americano. Con il tempo, queste strategie si sono sviluppate e perfezionate sempre di più, fino all’elaborazione della figura del “cool hunter”. Il “cool hunter”, letteralmente “cacciatore di tendenze”, è un 30enne incaricato dalla propria agenzia di marketing di intercettare adolescenti in modo da sondare le loro tendenze ed aspirazioni e poter quindi fornire un quadro dettagliato della domanda del ricchissimo mercato giovanile. Il “cool hunter” mette a proprio agio l’adolescente vestendosi come lui, utilizzando il suo linguaggio e comportandosi come se gli fosse amico. Prendono il caffè insieme, fanno shopping insieme e, in cambio della “consulenza”, gli regala buoni acquisto e inviti agli eventi più mondani dell’azienda. In una società nella quale l’apparenza riveste, e questo al di là di ogni scontata formulazione retorica, un’importanza capitale per il rafforzamento, anzi, per il puntellamento di un’identità ancora incerta e fragile come quella dei ragazzi, sentirsi parte dell’universo di un marchio famoso, vedere che gli adulti tengono in considerazione la tua opinione, fa sentire meno soli e fragili. Ora, se da un lato sociologi, psicologi, massmediologi e giornalisti concentrano la loro indagine speculativa solo sull’aspetto dello “sfruttamento” del giovane da parte delle aziende, dall’altro lambiscono solo parzialmente e superficialmente ciò che spinge i ragazzi a identificarsi in una sigla commerciale e a cedere alle lusinghe dei suoi “cacciatori dei tendenze”; chi parla con questi ragazzi? Chi li aiuta, in un segmento tanto delicato della loro esistenza? Chi si preoccupa delle loro necessità emotive? Chi stringe loro le spalle, quando si sentono soli? Nessuno. E nessuno se lo chiede. Per questo motivo, le lusinghe di un procacciatore vengono viste come l’unico spiraglio di luce nel buio della solitudine più caotica e insidiosa. In un certo senso, anche il sociologo, lo psicologo, il massmediologo ed il giornalista che studiano le debolezze dei teenagers mettono in atto un’opera di sfruttamento ai loro danni, perchè li usano come grimaldello per sfondare la credibilità di un tipo di economia e di fare mercato storicamente avversati dall’intellighenzia accademica occidentale e da talune porzioni della politica più smaccatamente ideologica.
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