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Copenaghen, la cultura della bicicletta

Da Dragor

EEEEEEEEEEEEEEEEvelos-copenhague-danemark-3725549579-11949    A NIZZA CIRCOLARE IN BICICLETTA è uno dei modi più diffusi per suicidarsi. L’altro è un bel tuffo in mare dall’alto di Rauba Capeu, la grande roccia che si trova, guarda caso, di fronte al Monumento ai Morti.  Malgrado i 40 chilometri di piste ciclabili, malgrado i 1500 Vél’Azur disposti in centinaia di parcheggi nei punti strategici della città e ricuperabili con 1 euro al giorno se si ha un computer portatile per collegarti sul sito e farti dare il codice per staccare la bicicletta azzurra dalla catena (un gioco da bambini, ho visto geni dell’informatica rassegnarsi a prendere l’autobus), la bicicletta è un suicidio. Le piste ciclabili sono trappole mortali sulle quali, quando non venite schiacciati da un autobus, travolti da una moto, investiti da una macchina o brutalmente stoppati da una portiera spalancata all’improvviso, dovete zigzagare fra surfisti a rotelle, pattinatori, monopattini, ciclomotori, pedoni, macchine in sosta, accampamenti di clochard e cassonetti della spazzatura. Ecco quello che manca a Nizza: la cultura della bicicletta.

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  TUTTO QUELLO CHE TROVATE A COPENAGHEN, forse la città più ciclabile del mondo. In tutti gli anni che l’ho frequentata non  ho mai visto una, dico una macchina su una pista ciclabile. Sarebbe lo scandalo del secolo, perché a in Danimarca la bicicletta è più venerata della Sacra Sindone. La Petite Reine, come si chiama da noi, qui è sul serio una regina a pari grado con Margrethe. I danesi vanno in bicicletta per scelta, non per obbligo, dato che anche il più povero può comprarsi una macchina grossa il triplo di quella di un nizzardo. Vanno per scelta, perché è comodo, perché è bello, perché è ecologico, perché è sano. Basta guardarli durante la famosa Onda Verde dell’ora di punta: cicli di ogni tipo, biciclette classiche, biciclette con rimorchio per il marmocchio segnalato da un’asta suulla quale sventola una graziosa bandierina danese triangolare, tricicli, quadricicli, biciclette da corsa, biciclette fuoristrada,  biciclette da città. Quando il semaforo scatta al verde sulla Godtstabvej o sulla Gyldenløvesgade, aprono l’onda i velocisti dal garretto possente, la chiudono gli anziani e i bambini sotto l’occhio amorevole della mamma che insegna loro quando fermarsi, quando ripartire e come segnalare la svolta. E non c’è da stupirsi,  perché il 40 per cento del traffico di Copenaghen si svolge su due ruote.

   SIETE A COPENAGHEN E NON VETE UNA BICICLETTA? Nessun problema, la trovate gratis. Vi basta andare nei luoghi dove vengono abbandonate, di solito sotto i cavalcavia, e avete soltanto l’imbarazzo della scelta. Potete trovare modelli praticamente nuovi in condizioni impeccabili. Una volta venivano abbandonate senza antifurto ma adesso la legge, con scrupolo tipicamente danese, prescrive che siano bloccate per esonerare l’antico proprietario da ogni responsabilità casomai il nuovo avesse un incidente. Così dovete munirvi di pinze e tagliare l’antifurto. E’ una semplice formalità che risparmia agli spazzini la fatica di caricare la bicicletta sul furgone durante il loro giro mattutino.

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   ADORO CIRCOLARE PER COPENAGHEN in bicicletta, è l’unica città d’Europa nella quale potete smarrirvi in una foresta. Avrei voluto andare fino a Malmö, in Svezia, sul ponte che scavalca l’Öresund e vincere la sfida persa qualche tempo fa, ma arrivato al casello con tutto l’equipaggiamento comprese le aringhe da gettare ai gabbiani inferociti, mi trovo davanti a un cartello: “Ponte vietato alle biciclette”. “Perché?”, chiedo al casellante.  “A causa degli incidenti. Una quantità di ciclisti è finita in mare a causa delle raffiche di vento o è stata  lardellata da stormi di gabbiani inferociti.” Buono a sapersi…

  Dragor  

 


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