di Simone Vettore
A ventiquattro anni di distanza dalla caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e a ventidue dalla dissoluzione del patto di Varsavia (1 luglio 1991) e dallo storico ammainamento della bandiera sovietica dalle cupole del Cremlino (26 dicembre del medesimo anno), il gelido vento della Guerra Fredda pare continuare a soffiare forte in Estremo Oriente. La notizia del terzo esperimento nucleare compiuto dal regime di Pyongyang, unita a quella dei test missilistici di qualche mese fa [1], ci riporta infatti di colpo ai tempi in cui gli equilibri strategici tra i due blocchi erano stabiliti dall’ampiezza dei rispettivi arsenali atomici e dalle correlate capacità di “recapitare” al nemico questi terribili ordigni attraverso, per l’appunto, missili balistici intercontinentali (ICBM) stipati in silos oppure lanciati dai sottomarini (SLBM) oppure ancora sganciati da bombardieri in volo H24 per assicurare la capacità di seconda risposta, garanzia di reciproca distruzione. È però altresì indubbio che ad essere cristallizzate sono le sole dottrine di impiego (ed è parimenti innegabile che, oggi come allora, uno Stato conta realmente qualcosa nell’arena della politica internazionale solo se appartiene all’esclusivo “Club dell’atomica”!), essendo il quadro geopolitico, al di là delle apparenze, significativamente mutato.
In particolare ha stupito la reazione cinese: il comunicato stampa rilasciato da Pechino alla notizia dell’effettuazione del nuovo test è apparso insolitamente duro e ciò, stando al parere di diversi osservatori, è dovuto al fatto che i vertici cinesi vogliono evitare qualsiasi “fastidio” alle proprie frontiere tanto più che la presenza di una Corea del Nord “nucleare” autorizzerebbe de facto Corea del Sud, Giappone e Taiwan (prontamente spalleggiati da Washington) a potenziare le proprie difese antimissile innescando una pericolosa corsa al riarmo [2].
Decisamente più in linea con gli schemi della diplomazia internazionale sono state le prese di posizione degli Stati Uniti, con una netta condanna del test seguita dall’annuncio che dell’affaire ne sarebbe stato investito il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, della Corea del Sud, che ha aumentato il livello d’allerta delle proprie forze armate, e del Giappone, che ha similmente condannato l’effettuazione dell’esperimento definendolo deprecabile e pericoloso per la pace, e spingendo per l’imposizione di nuove sanzioni da parte della comunità internazionale.
Alla luce di queste dichiarazioni parrebbe emergere l’immagine di una Corea del Nord ulteriormente isolata sul piano internazionale, ma anche in questo caso non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze.
Difatti l’ascesa di Kim Yong-un al posto del defunto “Caro Leader” Kim Yong-il ha indotto un po’ tutti a tentare abboccamenti con il nuovo gruppo dirigente. Posto che le dinamiche del potere a Pyongyang sono oscure e non si conosce con precisione quale quota di potere sia concretamente esercitata dal giovane leader, ed al contrario quanto sia egli stesso manovrato dal vecchio apparato di partito, è incontrovertibile che Kim Yong-un abbia saputo porsi al centro dell’attenzione mediatica alternando aperture al dialogo ed all’occidentalizzazione dei costumi ai limiti del gossip (ricordo l’esecuzione della colonna sonora del noto film Rocky ad una manifestazione ufficiale in aggiunta alla presenza di personaggi di Walt Disney, l’apertura ai fast food e da ultimo il dibattito sulla marca di smartphone usato dallo stesso dittatore nord-coreano) a ben più tradizionali proclami dai toni belligeranti e minacciosi, facendo seguire a questi ultimi pure i fatti, giusto per dimostrare che non si scherza!
Da questo punto di vista, a dispetto della giovane età, Kim Yong-un si sta dimostrando insospettabilmente abile e scaltro, tanto più che le sue uscite non mirano a replicare il solito giochetto per cui, in prossimità di ogni tornata di colloqui con i rappresentanti diplomatici del gruppo di contatto (Usa, Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud), si mostrano i muscoli al fine di ottenere aiuti internazionali in termini soprattutto di derrate alimentari [3], ma puntano decisamente più in alto.
A Pyongyang sono perfettamente consapevoli dell’importanza crescente dal punto di vista geostrategico e soprattutto geoeconomico che va assumendo il proprio territorio e di conseguenza stanno rilanciando al rialzo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, basta osservare la carta geografica per realizzare come la penisola coreana rappresenti nel suo complesso una sorta di cuneo conficcato nella massa euroasiatica e nello specifico la Corea del Nord, a seconda di come la si guardi, una straordinaria via di penetrazione tanto verso gli spazi “vuoti” della Mongolia interna e della Russia (in quest’ottica va ad esempio interpretato l’espansionismo giapponese di fine XIX secolo che condusse al primo conflitto sino-giapponese del 1894-95 ed all’imposizione del protettorato da parte di Tokyo sull’intera Corea), quanto l’imprescindibile retrovia logistico di quel naturale trampolino verso il Giappone che è l’attuale Corea del Sud.
Anche per quanto riguarda il secondo aspetto (quello geoeconomico) l’analisi della carta geografica risulta illuminante: a sud del 38° parallelo l’area metropolitana di Seoul, oramai unificata a quella di Incheon (con l’Incheon Free Economic Zone), assomma a 22 milioni di abitanti (pari a quasi la meta della popolazione sudcoreana) e preme a nord verso il confine; poco a nord di quest’ultimo si trova il Complesso Industriale di Kaesong [4], nel quale molti chaebol sudcoreani (Hyundai in primis) hanno effettuato ingenti investimenti attratti dai vantaggi in termini di tassazione ed, evidentemente, di basso costo della manodopera.
Per i suddetti motivi anche la Cina, che ha già avviato la delocalizzazione delle sue imprese nel sud-est asiatico [5], guarda con interesse a Pyongyang; per Pechino, si badi, non è una novità fare affari al di là dello Yalu dal momento che molte sue aziende sono già operanti nel settore minerario, settore che a detta degli esperti avrebbe un notevole potenziale stante l’attuale (sotto)sfruttamento dei giacimenti a causa delle tecnologie obsolete a dispetto della presenza nel sottosuolo nordcoreano delle ricercatissime (specialmente dal settore hi-tech) “terre rare”. Non è dunque un caso se pure Corea del Sud, Giappone e Taiwan stanno alla finestra pronti ad effettuare, se e mai verrà garantita l’indispensabile cornice di sicurezza, i necessari investimenti [6].
Pure la Russia sembra essere interessata ad inserirsi nel “grande gioco” nord-coreano: ad esempio si è a lungo dibattuto sulla realizzazione di un gasdotto che, attraversando il territorio nordcoreano ed in particolare il “corridoio” di Hoeryong-Sonbong (quest’ultima città portuale, per inciso, è appetita dai Cinesi i quali lamentano la mancanza di accesso diretto al mare per la dinamica provincia dello Jilin), dovrebbe rifornire le aziende sud-coreane con i gas della Siberia orientale. Se anche in questo caso è tutt’altro che certo che si addiverrà ad un risultato concreto, è interessante notare come per Mosca il regime di Pyongyang rappresenti un importante partner con il quale fare affari e da integrare in una rete potenzialmente capace di attivare meccanismi virtuosi: in un sistema siffatto, infatti, Paese esportatore, Paese di transito e Paese importatore divengono reciprocamente interdipendenti (il primo deve piazzare la propria materia prima, il secondo ci guadagna in royalty, il terzo abbisogna di gas per far funzionare le proprie fabbriche), il che impone l’instaurazione di rapporti cordiali e può potenzialmente portare ad una crescita complessiva dell’interscambio commerciale ed in ultima analisi della ricchezza (ergo della stabilità) [7].
Paradossalmente dunque a trovarsi nella posizione più defilata sono gli Stati Uniti: complice l’inserimento di Pyongyang nella lunga lista degli “Stati canaglia” e l’embargo unilaterale posto a questo Stato, gli spazi di manovra sono giocoforza ridotti al punto che l’unica “dialettica”, si fa per dire, è quella scandita dalla minaccia delle armi [8]! Anche qui qualcosa sembra comunque muoversi: per quanto allo stato delle cose sia difficilmente inquadrabile, il recentissimo viaggio effettuato dal CEO di Google, Eric Schmidt, in quel di Pyongyang (ufficialmente privato e giustificato come umanitario) è stato interpretato dagli osservatori in modi diversi. Le tesi che vanno per la maggiore vedono Schmidt come “ambasciatore” del Governo statunitense stesso oppure della “rivoluzione di Internet” (in un Paese dove poche persone possiedono un personal computer e la libertà d’informazione è una utopia) oppure ancora, al contrario, come negoziatore di un accordo sulla falsariga di quello stipulato anni fa con la Cina (allora Google accettò di vedere le proprie ricerche “filtrate” dalla censura cinese).
Sia quel che sia, è importante rilevare, per concludere, come, al di là delle schermaglie di facciata, il muro contro muro della Guerra Fredda sia un’immagine appartenente ad un lontano passato, un facile schematismo rispolverato all’occorrenza dall’una come dall’altra parte. La realtà invece è molto più complessa, tant’è che, come si è visto, i vari attori regionali (portatori di specifiche esigenze), intravvedendo le potenzialità della Corea del Nord, si stanno riposizionando.
Lo stesso spauracchio nucleare viene, nell’opinione di chi scrive, abilmente usato da Kim Yong-un per mantenersi un margine di manovra tanto nei confronti della Cina, potenza amica forse un po’ troppo “invadente”, quanto delle potenze occidentali, verso i cui modelli e costumi si inizia a mostrare un certo grado di apertura.
È ovviamente un puro esercizio intellettuale ipotizzare come si evolveranno le cose, ma indubbiamente in Estremo Oriente si sta giocando una partita pericolosa: il possesso da parte di Pyongyang degli agognati armamenti, da una parte, potrebbe infondere fiducia nell’establishment locale, facendolo sentire “con le spalle coperte” e pertanto padrone del proprio destino al punto da decidere di “condurre al mondo” il proprio popolo senza timore che esso smarrisca la sua identità confucian-comunista. Dall’altra parte, sussiste il rischio enorme che, per un qualsiasi accidente, l’uso troppo disinvolto della minaccia delle armi porti a superare il punto di non ritorno, il che, in un’area in cui i motivi di frizione sono molteplici (dalla questione delle isole Curili alle Senkaku / Diaoyutai, da Taiwan agli scogli delle Dokdo), avrebbe conseguenze queste sì facilmente immaginabili.
Auguriamoci che tutti, ed il giovane Kim Yong-un in primo luogo, sappiano giocarsi con accortezza questa difficile partita sul filo del rasoio.
* Simone Vettore è Dottore in Storia Contemporanea (Università di Padova)
[1] A detta di molti esperti il razzo vettore Unha 3, ufficialmente destinato alla messa in orbita di satelliti, altro non sarebbe che l’evoluzione a tre stadi del ben noto missile balistico Taepodong 2; vedi Gianandrea Gaiani, La Corea del Nord ci riprova: nuovo missile intercontinentale già in rampa di lancio. Il Giappone schiera i Patriot.
[2] Vedi Jane Perlez, After North Korean Nuclear Test, China Must Deal With Its Wayward Ally. A mio avviso il riarmo in Estremo Oriente è già iniziato e riguarda per ora il potenziamento delle flotte militari.
[3] È di questo avviso ad es. Gianandrea Gaiani, per il quale si rimanda a n.1.
[4] Si veda la seguente pubblicazione dell’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE): Investire in Corea del Nord.
[5] Pechino pare replicare la politica del defunto Celeste Impero di circondarsi di una corona di Stati vassalli / tributari.
[6] Vedi Scott Thomas Bruce, North Korea’s Six Trillion Dollar Question.
[7] Non è peraltro da escludere che, qui come altrove, la Russia usi il petrolio come arma per imporre un controllo ed un’influenza di tipo politico; che le mire di Mosca in Estremo Oriente non siano di natura prettamente economica, ma che il business sia pragmaticamente accompagnato da un riposizionamento militare, è comprovato dall’annunciato ritorno presso la base navale di Cam Ranh in Viet-Nam, base che andrà ad affiancarsi a Vladivostok, tradizionale sede della Flotta del Pacifico. Vedi Lisa Karpova, Russia’s nuclear-powered ballistic submarine: Yury Dolgoruky.
[8] In Corea del Sud sono tuttora schierati 28.500 soldati statunitensi. Vedi Donna Miles, North Korea Remains Key Focus for Pacific Command.
Photo credit: Mainichi Shimbun