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Cortigiani, vil razza dannata

Creato il 21 gennaio 2015 da Albertocapece

Cortigiani, vil razza dannataAnna Lombroso per il Simplicissimus

“Oggi a pranzo in mensa al Senato ti capita di trovare il Presidente Emerito, che ha fatto la fila con me al self-service. Assieme a tutti gli altri, subito di nuovo al lavoro, per onorare il ruolo di senatore. Mi ha emozionato vederlo, credo che questo dica molto sullo stile e sul senso delle istituzioni di Giorgio Napolitano”.

È’ la senatrice Puppato ad offrirci  sul suo profilo Facebook questo delicato bozzetto deamicisiano. Che aggiunge una non sorprendente conferma sulla distanza siderale che separa loro, i nominati, gli “eletti” da una divinità arbitraria la cui benevolenza  premia ubbidienza e fidelizzazione, e noi, il volgo disperso che fa parte e vede ben altre mense e ben altre file, quelle dalla Asl, dell’Agenzia delle Entrate, del Pronto Soccorso, della Charitas e magari distoglie lo sguardo da ben altri pensionati senza opima buonuscita e pingui vitalizi, ben altri vecchi, che hanno pudore, si, ma della loro povertà, che hanno vergogna, si, ma della loro solitudine, che provano disagio, si, ma del  loro stato di invisibili, quando non della condanna a diventare rifiuti da rottamare, da mettere da parte, come molesto presagio di quel che ci aspetta.

Non condanno più di tanto dunque il deliziato ossequio della senatrice. Anche se personalmente, pur comprendendo che Clio abbia preferito toglierselo di torno durante il trasloco, come facciamo noi durante il cambio di stagione, preferirei sapere che il re emerito se ne sta seduta su una panchina dei giardinetti a leggere il giornale, o meglio ancora a impartire consiglio agli operosi stradini di Roma alle prese coi sanpietrini, piuttosto che ai meno solerti parlamentari alle prese con l’elezione del suo successore.

Il fatto è è che ben più dei pensierini edificanti della Puppato, dovrebbe disturbarci per esempio la festa popolare con la quale il Rione Monti ha salutato il “ritorno” a casa del monarca che si è auto deposto. E non perché ci veda la cortigianeria provinciale di un “popolino” abituato a seguire con partecipazione le gesta blasonate  delle dinastie tramite i rotocalchi. No, è che sospetto che le disuguaglianze siano state talmente accettate come un fenomeno naturale, siano state talmente elaborate e digerite come una inevitabile purga, che quando qualcuno che appartiene alla schiera dei “prescelti”, dei privilegiati, dei superiori scende tra noi, fa la sua benevola apparizione, si mostra come “normale”, si finisce per essergli grati per il favore che accorda, per la sua benevolenza, confondendola con un’ostensione di somiglianza con noi, con una manifestazione di democrazia. Anche quando viene da chi ha contribuito in prima persona a smantellarne l’edificio vulnerabile, a stracciare la sua carta fondativa, a limitare la nostra partecipazione e i nostri diritti a decidere, a esprimerci, a scegliere.

Ci hanno voluto persuadere che la crisi sia un accadimento imprevedibile e occasionale, come un terremoto o uno tsunami. E ci vogliono convincere che anche le differenze più inique lo siano: un destino che siamo condannati a subire, una pena che meritiamo per aver troppo voluto, o per scarsa iniziativa, ridotta ambizione, vigliaccheria e indolenza. E se graziosamente si palesano tra noi, se amabilmente ci lanciano una brioche da 80 euro, allora dobbiamo essere loro riconoscenti, ammirarli per la loro clemenza. Magari votarli. Ma noi no, noi no.


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