Renzi-Putin
Gli italiani ci avviamo ad essere un popolo di comandati. Il fenomeno si realizza senza che ce ne rendiamo conto, oppure con quella sottaciuta voluptas dolendi che da sempre abbiamo irresponsabilmente covato dentro di noi. Fino al fascismo e ai nostri giorni. La nostra caratteristica principale è applaudire chi, per nostra volontà, sta sul carro e lo guida. L’auriga diventa così ai nostri occhi il capo indiscusso. Criticarlo sarebbe un’azione disdicevole, sia ai nostri occhi sia per tutti gli italiani comandati da questa guida da guerra. O tenta di comandare. Chi non segue è morto. E gli italiani, si sa, non amano parlare male di un morto. Così, nel 1949, interpretando la cultura dei suoi connazionali, Curzio Malaparte scriveva: “Strano popolo il nostro! Finché sei vivo, non ti risparmiano nessuna calunnia, nessun vituperio: ma appena muori, guai a chi parla male di te. Gli Italiani hanno paura dei morti. Temono che i morti vengano la notte a tirarli per i piedi”. Questo accadeva per Mussolini e per tutti gli altri esseri mortali. Ed è così, gli Italiani amano i vivi, i superattivi, capaci di mettersi al posto loro per riceverne aiuti e benefici. Odiano il passato e i suoi eventi ammonitori. O, semplicemente lasciano fare, anche se la strada che stanno percorrendo è una china pericolosa, e non una difficile salita verso la conquista di qualcosa più in alto: un traguardo, una cima, un risultato buono per la collettività.
Cosa che mi pare stia accadendo al governo Renzi e a quel clima renzusconista che si sta sempre più radicando nella mente di ciascuno. Berlusconi tira a campare e lascia fare agli allievi della sua scuola allegra, pragmatica e del chi si ferma è perduto, che costringe il nostro governo a tentare di bruciare tempi, tagliare teste, e procedere verso il traguardo come tank o bulldozer. Noi “tireremo innanzi” diceva la buonanima. E lo ripere con nonchalance Renzi. Tant’è – lo notava lo stesso Malaparte – che “è pretesa costante degli Italiani che il proprio Governo debba essere tanto più forte quanto l’Italia è più debole, salvo a esiger che sia debolissimo allorché l’Italia è forte, o si immaginano che sia forte”.
In questi giorni Stefano Rodotà è stato abbastanza accurato nel definire lo stato di progressiva demolizione della nostra democrazia, dovuto anche allo smantellamento dei diritti dei lavoratori, oltre che di punti nevralgici della seconda parte della nostra Costituzione. E in questa valutazione abbiamo trovato d’accordo Nicola Tranfaglia e molti intellettuali e politici italiani, di destra e di sinistra, che senza ubbidire alle scuderie di partito, hanno dichiarato la loro preoccupazione per la vistosa contrazione degli spazi di democrazia nel nostro Paese. Ecco che cos’è la democratura. Se il malato non peggiora resterà tale. Altrimenti la strada è già segnata. A parte la scarsa significanza dei centurioni del Senato, ridotti a mera coreografia, preoccupa il grave contenimento delle funzioni della Camera dei deputati, praticamente nominata da irresponsabili segretari di partito, passati tutti al ruolo di capetti autoritari. Un giorno forse saranno generali senza esercito. Ma quando ce ne accorgeremo non so quale esercito, popolo e Nazione italiana avremo.
Giuseppe Casarrubea