di Alessandro Giuliani*
*biostatistico e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità
Buttarla in caciara è un termine dello slang romanesco quasi intraducibile in altri idiomi, è sicuramente diverso (anche se apparentato) dal ‘fare ammuina’ napoletano che indica una apparente frenetica attività che maschera l’assenza di qualsiasi operazione utile. Per ‘buttarla in caciara’ o, analogamente, ‘alzare la caciara’ si dovrebbe piuttosto intendere un pomposo concionare volto a mascherare una sostanziale mancanza di idee (o l’assenza di una risposta adeguata ad un quesito) con delle affermazioni apparentemente molto sentite e inoppugnabili ma a cui in realtà neanche lo stesso estensore crede più di tanto. Per sopperire alla mancanza di credibilità si cerca di lavorare sul volume e sulla confusione (caciara è deformazione romanesca di gazzarra che ha un doppio etimo rimandante comunque alla ‘confusione’ dalla parola araba al-gazar che era un chiassoso grido di battaglia dei mori, e dal chiasso proveniente da voliere di gazze (gazzare) che erano usate nelle cacce rinascimentali).
La lettura dell’articolo di Scally et al. (2012) “Insights into hominid evolution from the gorilla genome sequence’ apparso recentemente su Nature mi ha portato spontaneamente alla mente l’espressione romanesca commentata poc’anzi. Impressione confermata dalla presentazione nello stesso numero della rivista dell’articolo di cui sopra, da parte di Kerri Smith. In poche righe si dice tutto ed il contrario di tutto, nell’ordine:
- «Understanding these genetic catalogues, from our closest living relatives, can reveal much about our evolutionary path — such as when we diverged from our primate cousins and what makes humans different from apes». Comprendere questi cataloghi genetici provenienti dai nostri parenti viventi più prossimi, ci può rivelare molto riguardo al nostro cammino evolutivo – cose come quando ci siamo distaccati dai nostri cugini primati e cosa rende l’uomo differente dalle scimmie.
- «This helps to clear up the evolutionary conundrum of the three types of great ape. “For a long time there was a discordance between the fossil evidence and genetic estimates, in the sense that genetic estimates came up with speciation times that were more recent”, says Sally». Questo aiuta a chiarire la contraddizione evoluzionistica dei tre tipi di scimmie antropomorfe. ‘Per molto tempo c’era una discrepanza tra evidenza fossile e stime di distanza genetica, nel senso che le stime di distanza genetica parlavano di tempi di speciazione più recenti, dice Sally.
- «But the genome sequencing has thrown up surprises, too. The standard view of the great-ape family tree is that humans and chimps are more similar to each other than either is to the gorilla — because chimps and humans diverged more recently. But, 15% of human genes look more like the gorilla version than the chimp version» Ma la sequenza del genoma ha anche portato delle sorprese. La visione standard dell’albero genealogico delle scimmie antropomorfe è che l’uomo e lo scimpanzè siano più simili tra loro di quanto non siano con il gorilla - in quanto gli scimpanzè e gli umani si sarebbero separati in tempi più recenti. Eppure il 15% dei geni umani sembrano più simili alla versione del gorilla che a quella dello scimpanzè.
- «Some of these rapid changes are puzzling: the gene LOXHD1 is involved in hearing in humans4 and was therefore thought to be involved in speech, but the gene shows just as much accelerated evolution in the gorilla. “But we know gorillas don’t talk to each other — if they do they’re managing to keep it secret”, says Sally». Alcuni di questi rapidi cambiamenti appaiono sconcertanti: il gene LOXHD1 è coinvolto nel senso dell’udito degli umani e per questo motivo è stato pensato essere coinvolto nel parlato, ma il gene mostra lo stesso tipo di evoluzione accelerata anche nel gorilla. ‘Ma noi sappiamo che i gorilla non parlano tra di loro – a meno che non parlino ma lo riescano a tenere segreto’, dice Sally.
- «This weakens the connection between the gene and language, says Enard. “If you find this in the gorilla, this option is out of the window». Questo fatto indebolisce la connessione fra geni e linguaggio, dice Enard ‘Se hai questo risultato (che non parla N.d.R.) con il gorilla, allora questa opzione è fuori luogo.
- «So what species should be the next to join the genome-sequencing club? There are hundreds of primate species, and in an ideal world Enard would like to sequence them all. But there is not much point without data on behaviour and physiology. “We want phenotypes too”, he says». Allora quale sarà la prossima specie ad unirsi al club degli organismi di cui si conosce l’intero genoma? Ci sono centinaia di specie di primati, e in un mondo ideale a Enard piacerebbe vederle tutte sequenziate. Ma ciò sarebbe di scarsa utlità senza dati relativi al comportamento ed alla fisiologia. ‘Vogliamo anche i fenotipi’, afferma.
Allora, si inizia con il dire che conoscere le differenze (minime in termini percentuali) tra il genoma del gorilla e quello dell’uomo ci aiuterà a capire cosa ci renda così particolari (non sfiora a nessuno l’idea che magari proprio il fatto che le differenze siano così piccole magari il livello del DNA non è rilevante per capirle, se andiamo ancora più in profondità la mia differenza in composizione atomica con il ficus sul pianerottolo è praticamente nulla…). Però alla fine il gran sequenziatore dice che ‘vuole anche i fenotipi’ (e qui potrei aiutarlo io, ad esempio le scimmie non hanno un comportamento adeguato a tavola, non leggono con interesse romanzi d’amore, non frequentano i concerti, giocano in maniera molto approssimativa a calcio, non imparano a suonare la chitarra, non amano radersi…). Ma almeno l’albero filogenetico , qualcosa lì il DNA lo potrà dire … bè al punto 2 la risposta è “sì”, al punto 3 la risposta è “no”, al punto 4 si cerca di andare sul sottile e, visto che si è trovato un interessante appiglio in un gene il cui prodotto proteico è legato alla funzione dell’udito e quindi alla comunicazione orale ed è molto simile a quello dell’uomo …. ma i gorilla non parlano! Magari parlano di nascosto quando non siamo lì ad ascoltare … ma no dai, è un po’ troppo magari sarà che il linguaggio c’entra poco con i geni (punto 5).
Va bene, pura caciara, peccato che qualcuno li prenda pure sul serio come il sito di Intelligent design che parla di ‘sconfessione del paradigma neo-darwinista’ riferendosi a questo articolo. Beata innocenza verrebbe da dire, ma noi romani siamo famosi per essere cinici e a queste cose non diamo un peso maggiore di quello che hanno.. piuttosto mi sembra notevole qualcosa di molto ma molto più incisivo e meno caciarone, apparso quasi in contemporanea al ‘caso gorilla’ sulla sezione di Science (il rivale americano di Nature) dedicato alla medicina traslazionale (orribile parola che starebbe ad indicare il trasferimento di risultati scientifici alla cura del malato), dove si dimostra come la sequenza personalizzata del genoma non abbia alcuna capacità predittiva sulle malattie più comuni e gravi, insomma che nonostante lo strombazzamento mediatico ‘è tutto nei geni’, la conoscenza della sequenza del genoma umano ci permetterà di vivere fino a cento e passa anni e a sconfiggere il cancro’ , in mano non abbiamo che un pugno di mosche e che la complessità del vivente è irriducibile alla sua totale compressione in una sequenza. Lo dice uno scienziato di gran nome, Bert Vogelstein, della prestigiosa Johns Hopkins University, sull’ancor più prestigioso Science… che forse ci sia voglia di abbassarla la caciara e ricominciare a fare scienza per davvero ?
Io me lo auguro, come mi auguro che i ‘grandi media’ italiani (La Repubblica, Corriere della Sera, Televisione) osino fare un accenno di mea culpa e di smentita di tutte le baggianate propinate negli ultimi dieci anni sull’argomento, qui però mi accorgo da solo che chiedo troppo…