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Mi rendo conto che parlare di “conoscere” il personaggio della storia che si scrive, breve o lunga che sia, potrebbe far strabuzzare gli occhi a più di una persona.
“Perché diavolo dovrei conoscere il personaggio? Io voglio scrivere una storia! È una bella storia! Piena di colpi di scena! Ce l’ho tutta in testa e devo solo metterla per iscritto”.
Il personaggio ha la sua dignità
Se la pensi in questa maniera tu non lo sai, ma hai un problema. Un personaggio non è una marionetta di cui tu puoi disporre liberamente. Ha una sua dignità. Una sua storia. Pensarla in maniera differente vuol dire non aver compreso che scrivere una storia, non importa di quale lunghezza, significa soprattutto imparare a stare al proprio posto. E a rispettare appunto il personaggio.
Di solito chi ha scarse letture, non prende neppure in considerazione questi aspetti; la storia è così e cosà, e c’è poco da osservare o conoscere. Si tratta di traslocare quello che si è vissuto o visto, sulla pagina. E il personaggio? Il personaggio come un suddito un po’ scemo, s’inchina e fa quello che noi vogliamo.
Niente di più sbagliato.
All’improvviso, nei posti più impensabili
In realtà il personaggio è un tipino tutto pepe. Non ha molta voglia di stare in nostra compagnia. Perché ha dei segreti con sé e nessuna voglia di raccontarli. A chi, poi? A degli sconosciuti?
A volte succede, all’improvviso e nei posti più impensabili, di incrociare dei perfetti sconosciuti che senza nessuna sollecitazione da parte nostra, ci svelano degli episodi della loro vita intimi e dolorosi. Restiamo sempre un po’ confusi da questa confidenza. Non capiamo perché accada, e accada proprio a noi.
Perché siamo sconosciuti, e ascoltiamo.
Ecco: chi racconta storie dovrebbe comportarsi sempre in quella maniera. Come se si trovasse ogni volta alle prese con uno sconosciuto che se ne sta sulle sue, agli inizi. E poi, bam!
Devi imparare a tacere, e ad ascoltare il personaggio.