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Cosce sicuro!

Creato il 30 novembre 2012 da Indian

Lezioni condivise 71 – Lucca e naufragi

Tra gli ermetici e minimalisti mi è capitato di studiare a fondo Ungaretti, proprio in modo globale; avrei preferito magari un altro autore, pertanto, come davanti a un minestrone dove sono presenti ingredienti indigesti e allora sposti al bordo del piatto, fagiolini, piselli, cavoletti, le bietole troppo invadenti, ho dovuto separare dal poeta, il soldato, il fascista, il lacchè, il pecorone, l’infimo, e non è stato facile. Tuttavia penso che l’arte sia unidirezionale e positiva, altrimenti non è arte. La poesia e la tecnica ungarettiana evidentemente lo sono, anche se occorre indossare i guanti. E’ arte perché vi è la formazione dell’esule, l’esperienza di “Baracca rossa” in Egitto con Enrico Pea, l’avventura di studiare in Francia e incontrare gente come Apollinaire e Mallarmé, ma anche Picasso, De Chirico, Modigliani, e subire l’influenza di Baudelaire, anche se al rientro in Italia non trovò maestri di pari spessore e soprattutto trovò Mussolini e il fascismo. Una sorte sfortunata, un po’ come se, che so, un Badoglio avesse conosciuto e frequentato Marx, Engels, Lenin, Bakunin, Malatesta, Gramsci, poi incontrato il duce, fosse rimasto un Badoglio…

Detto questo, alla fine, non sono scontento di averlo studiato, come è vero che qualsiasi studio arrichisce, ma anche perchè in quel minestrone qualcosa si salvava… le patate…

Ungaretti ammise di aver avuto le prime influenze poetiche da Leopardi e Petrarca. Conobbe i primi scrittori italiani su “La Voce”, ove scriveva anche Giovanni Papini, che in seguito lo aiutò a pubblicare i primi lavori sulla rivista “Lacerba” (denominazione ispirata alla poesia omonima di Cecco d’Ascoli). Nel secondo dopoguerra invece intenso fu il carteggio con Carlo Betocchi e la collaborazione con la rivista “L’approdo letterario”.

Da William Blake (1757-1827), poeta e pittore, sorta di profeta visionario, di grande immaginazione, per il tramite di Apollinaire, Ungaretti mutuò la tecnica cinematografica, la poesia visiva, il simbolismo, l’avanguardia.

La commistione tra letteratura e cinema ebbe inizio con film tratti da opere letterarie, finché si pervenne al film poetico, onirico, da cui nacque la poesia visiva, di movimento, con immagini rapide, flash; un intreccio tra immagine e parola, che può venire anche dal sogno, cui in fondo si ispira il cinema surreale. Flusso di immagini come flusso di coscienza, che produce stimoli, argomenti figurativi, simbolici e stilistici; ogni visione ne richiama altre presenti e passate, reali o immaginarie, in una fusione di percezioni e transfert. Il messaggio visuale e non solo cinematografico, condiziona ampiamente la letteratura, lo scrittore è anche sceneggiatore, come in un ciclo permanente, continuo.

Blake influenzò direttamente anche W.B. Yeats, D. Thomas, J. Joyce, A. Ginsberg, A. Gide.

Quello di Ungaretti è lo stesso mistero per cui il futurismo è soggiaciuto al fascismo e più che esso alcuni suoi membri. Debolezze non giustificabili sebbene nei confronti di un potere autoritario, incombente, asfissiante, intimidente…

Nel carteggio con Papini, specie nel 1919, cita spesso i suoi autori preferiti ed è subito evidente la levatura dei francesi – Maurice De Guérin, Rimbaud, Laforgue, Apollinaire – rispetto a quella degli italiani – lo stesso Papini, Soffici, Carrà, Cardarelli, e ci mette pure se stesso, con presunzione malcelata da ironia – .

Al tempo di “Allegria di naufragi”, su “Il popolo d’Italia”, giornale di Mussolini e del fascismo, discettava con Papini di organizzare la poetica, di programmarla.

Questa raccolta in cui confluì “Il porto sepolto”, aderisce al minimalismo e al frammentismo. Nella successiva, “Il sentimento del tempo”, raggiunge il massimo dell’ermetismo, torna alla metrica regolare e a un certo classicismo, si autoregola, si impone scelte d’avanguardia.

Nato in Egitto da genitori lucchesi, vide Lucca per la prima volta a 31 anni, dopo gli studi in Francia e la grande guerra. Proprio allora scrisse “Lucca” e la inserì nella raccolta “L’allegria di naufragi” (1919). Sembra che in origine fosse una lettera, quindi prosa, cui il pathos dà un che di poetico, anzi è considerata uno dei maggiori componimenti del poeta, che vi esprime i concetti con espressioni musicali, minime e attente.

Aver visto Lucca aiuta tanto… Lucca, terra e metaforicamente donna.

A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre

ci parlava di questi posti”

In queste mura non ci si sta che di passaggio”

Ora che considero, anch’io, l’amore come una garanzia della specie,

>ho in vista la morte”.
Precisazioni temporali, indicazioni di possesso e diversi pronomi personali.
“A casa mia… mia madre…”, “La mia infanzia…”,
“Mi sono seduto… con della gente
che mi parla… d’un suo podere”
“Mi scopro…”, “Nelle mie vene, il sangue dei miei morti”
“mi scopro a ridere”, “Il mio destino, e la mia origine”
“Non mi rimane”, “mi spingeva”.

Si preoccupa di fissare coordinate spazio/temporali che non c’erano nella prima stesura. E’ un brano borderline tra i diversi drammi della giovinezza e un futuro, arrivato troppo presto, incerto, da esule… Ha 31 anni e parla già di morte.

Lucca richiama in qualche modo il tema di “Jolie Rousse” (1918) di Apollinaire. La guerra che si è portata via la giovinezza e il tempo perduto ci proietta davanti il baratro del non vissuto e il rischio del non vivere. Ma aldilà di questo la poesia rappresenta una frattura con la tradizione dal punto di vista della tecnica poetica, Apollinaire si sgancia da ogni regola e lancia il verso libero, l’invenzione, l’avventura. Ungaretti lo segue nella tecnica, ma non nel contenuto.

“Jolie Rousse” – Giudico questa lunga disputa della tradizione e dell’invenzione,/ dell’Ordine e dell’avventura (…)

Siate indulgenti nel confrontarci/ a quelli che furono la perfezione dell’ordine/ noi che dovunque cerchiamo l’avventura./

La differenza è tuttavia palese pur nello stesso contesto: al contrario di Apollinaire, Ungaretti preferisce l’ordine all’avventura.

Lucca” – In queste mura non ci si sta che di passaggio./ Qui la meta è partire./

Mi sono seduto al fresco sulla porta dell’osteria con della gente/ che mi parla di California come d’un suo podere./

Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone./ Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.

Ho preso anch’io una zappa./ Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere./ Addio desideri, nostalgie./ So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne./ Conosco ormai il mio destino, e la mia origine./ Non mi rimane che rassegnarmi a morire./

In questo dialogo mediante versi, a distanza, il confronto evidenzia comunque l’imitazione. Il tema della sorte

Jolie Rousse” – Je sais d’ancien et de nouveau autant qu’un homme seul/ pourrait des deus savoir

So di vecchio e nuovo, quanto un solo uomo/ potrebbe sapere/.

Lucca” - So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne/.

Il richiamo alla sessualità in “Lucca” era molto più evidente nella prima stesura, ormai clandestina, visto che è sparita anche dall’apparato critico delle varianti di “Vita di un uomo”.

Qui finirei col riprendere la zappa, col rimescolarmi

ai contadini, col dimenticare le acredini e i miracoli

delle lettere, col lodare, al sole l’alto grano d’oro,

mentre si falcia, e le coscie delle donne sorprese a

fecondarsi di te in una gran perdizione di sguardi e di

morsi bestiali; e non sai più se è una pesca o labbra

quella forma che hai divorato, se non fosse l’odor for-

te della donna; e poi al sole che ti dà un abbandono…

Ungaretti descrive i giorni trascorsi nei luoghi originari come momenti di “sofferenza e voluttà”, in una terra che per il poeta ha l’immagine appunto delle “coscie delle donne sorprese a fecondarsi di te“.

L’apparato critico riporta due varianti non molto dissimili:

Ho preso una falce, e con il grano mi son dato al sole.

Le coscie delle donne in fermento , mi soffocano;

e sono cascato nell’odor forte della mia terra avvinghiato come una belva.

Non so più se una di queste pesche, che pesano

agli alberi, o le tue labbra, ho divorato.

Ma infine resta il verso ermetico, ma anche più sconsolato

Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.

Addio desideri, nostalgie.

(Letteratura italiana moderna e contemporanea – 14.2.1997) MP

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